Puigdemont arrestato in Germania, scontri a Barcellona

Puigdemont arrestato in Germania, scontri a Barcellona

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Nei suoi giorni da President della Catalogna ribelle, Carles Puigdemont aveva beffato più volte il governo spagnolo. Gli avevano sequestrato urne e schede per il referendum indipendentista del primo ottobre, ma Puigdemont ne aveva nascoste altre nelle stalle di montagna e referendum fu. Anticostituzionale eppure trasmesso in mondo visione. Volevano impedirgli di votare, ma lui si nascose agli elicotteri sotto i ponti. Volevano chiudergli i seggi, ma la folla li tenne aperti. Avrebbero voluto arrestarlo all’alba del 30 ottobre, quando il suo governo venne commissariato da Madrid, ma il mago Carles riapparve a Bruxelles che era notte. «Sono qui per internazionalizzare la questione catalana» disse in una sala troppo piccola per l’attenzione di tanti giornalisti. Ammaccato, ma ancora presidenziale.

Ieri alle 11.19 la sua fuga da apprendista Houdini della politica è finita. Sono stati 147 giorni da «traditore», «codardo», «golpista», «eroe», «President dell’unico governo legittimo» o «padre della Repubblica» a seconda di chi lo guardava.

Al benzinaio di un’autostrada tedesca, vicino a Jagel, hanno vinto i servizi segreti spagnoli (CNI) che lo seguivano da mesi aspettando il momento buono. L’ok all’arresto è arrivato venerdì assieme all’ufficializzazione dei capi di accusa nei suoi confronti. Prima sarebbe stato addirittura controproducente arrestarlo perché le regole sull’estradizione avrebbero condizionato il processo in Spagna mettendolo magari al riparo dalle accuse più gravi. Dopo l’incriminazione, invece, gli 007 spagnoli hanno chiesto alla polizia tedesca di fermarlo appena la sua auto ha passato il confine tedesco. L’ex presidente veniva dalla Danimarca e prima dalla Svezia e prima ancora dalla Finlandia dov’era venerdì su invito di politici locali. Il CNI ha aspettato che entrasse in Germania: quello era il momento e il luogo migliore dove ammanettarlo.

Puigdemont oggi vedrà un giudice tedesco per la convalida dell’arresto. Potrebbero volerci dieci giorni o tre mesi, il caso da giuridico potrebbe tornare politico, ma è difficile che Berlino si opponga davvero all’alleato iberico anche se l’avvocato dell’ex presidente Jaume Alonso-Cuevillas conserva le speranza: «La consegna non è scontata». La fine della grande fuga non chiude affatto il confronto tra la Barcellona ribelle e Madrid. Appena arrivata in Catalogna la notizia dell’arresto, migliaia di persone sono scese in strada per protesta. A Girona, città di cui Puigdemont era stato sindaco, la sede della «prefettura» spagnola è stata circondata e i suoi muri dipinti di giallo, colore simbolico per chiedere la liberazione dei quelli che gli indipendentisti considerano «prigionieri politici».

Un corteo lungo chilometri si è sviluppato nel pomeriggio a Barcellona. «Puigdemont è il nostro presidente» si leggeva sui cartelli. Alla sera ci sono stati scontri con la polizia: almeno cinquanta feriti e tre arresti. Per i secessionisti la «giudizializzazione della politica» (copyright Felipe Gonzalez, ex premier socialista) è la riprova della volontà repressiva dello Stato unitario nei confronti del diritto di autodeterminazione reclamato da circa la metà della popolazione. Per gli unionisti, invece, l’estradizione e quindi il processo fermeranno l’avventura secessionista promossa da una minoranza di partiti in spregio allo Stato di diritto e violando la libertà degli altri.

L’atmosfera in Catalogna è pesante. L’indicazione dei leader secessionisti rimasti in libertà è di evitare violenze. Sarebbe la giustificazione per la condanna degli imputati. Il reato più grave che viene loro contestato infatti è quello di «ribellione» che contiene in sé il ricorso alla violenza. I cortei indipendentisti erano stati sinora estremamente pacifici. Cambiare proprio sulla porta dei tribunali sarebbe come spingere i giudici a condannare gli imputati. Puigdemont compreso. Gli scontri di ieri sera non sono un bel segnale.

FONTE: Andrea Nicastro, CORRIERE DELLA SERA



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