Tunisia, strage in mare, fra cui sei bambini, ma Salvini attacca “Ci mandano galeotti”

Tunisia, strage in mare, fra cui sei bambini, ma Salvini attacca “Ci mandano galeotti”

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POZZALLO. Quando entra nel casermone giallo preannunciato da una scritta “hotspot” sbilenca fuori dal cancello, Matteo Salvini rimane quasi immobile. Lì, fermo, a guardare il centinaio di migranti del centro di prima accoglienza a ridosso del porto che abbozzano un applauso. La prima volta del neo-ministro dell’Interno a contatto diretto con la tragedia degli sbarchi scivola via così, in una mezz’ora di caldo africano e qualche imbarazzo, colloqui fitti con autorità e responsabili della struttura e gli extracomunitari a far quasi da contorno, chi intento in una lezione di italiano e chi pronto a ricambiare un buffetto del presidente della Regione Nello Musumeci.

Una visita che serve al leader della Lega, da un lato, a tentare un approccio più istituzionale ( « Sull’immigrazione serve buon senso » ) e, dall’altro, a mostrare ancora la faccia dura: tagli all’accoglienza, attacchi alle Ong (le organizzazioni non governative impegnate nei soccorsi in mare), addirittura un quasi incidente diplomatico con la Tunisia. «Andrò a incontrare il mio omologo di quel Paese – dice Salvini – Un Paese libero e democratico dove non ci sono guerre, carestie e pestilenze, che non esporta gentiluomini ma galeotti».
Il tutto mentre si ripete il dramma dei naufragi nel Mediterraneo. Nove morti, fra cui sei bambini, nel Mar Egeo, davanti alle coste turche. Ben 47 i cadaveri ripescati proprio nelle acque della Tunisia, lo Stato il cui governo è stato sferzato ieri dal vicepremier.
Davanti a questo scenario, il leader della Lega continua con la politica del rilancio: «La Sicilia non può più essere un grande campo profughi » , urla a 7 giorni dalle amministrative, per la gioia di decine di fan che lo incitano a Pozzallo come avevano fatto a Catania, finendo per scontrarsi ( per fortuna solo verbalmente) con esponenti di movimenti di sinistra e centri sociali. Salvini reputa insufficiente la strategia adottata dal ministro dell’Interno uscente Marco Minniti: «Settemila espulsioni mi sembrano pochine. A quel ritmo il problema lo risolviamo in 80 anni. Bisogna tenere questi disperati nei Paesi d’origine, attraverso una collaborazione anche economica che impedisca le partenze». Salvini intende utilizzare « parte delle risorse » del taglio ai cinque miliardi del fondo per l’accoglienza proprio per destinarli agli Stati da cui cominciano i flussi migratori. D’altronde, sul sistema dell’accoglienza le parole sono sempre più dure. Il titolare del Viminale torna ad attaccare le Ong, già definite sabato “ vicescafisti”, mostrando apprezzamento per il lavoro del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che aveva indagato sulle collusioni fra le organizzazioni internazionali e i trafficanti di esseri umani: « Lo incontrerò volentieri. Nessuno mi toglie dalla testa che c’è un business costruito attorno a bambini che muoiono».
Per lui è soprattutto una questione di numeri: «Lo Stato sopporta il costo per ogni richiedente asilo più alto d’Europa e ha i tempi di rimpatrio più lunghi » . E dal paese più a sud del Continente Salvini rilancia la sfida all’Europa. La Merkel ha sottolineato che l’Italia « è stata lasciata sola ad accogliere i migranti dopo il crollo della Libia »? «Bene, si passi dalle parole ai fatti. Finora – afferma il leader della Lega – l’Ue ci ha appesantito assegnandoci altri migranti. Martedì al Consiglio europeo dei ministri degli Interni io non andrò perché sarò impegnato a Roma per la fiducia. Ma il governo italiano dirà di no alla riforma del regolamento di Dublino e alle nuove politiche di asilo » . Si tratta di norme che continuano ad attribuire ai paesi di primo approdo dei migranti i maggiori oneri per l’accoglienza. Anche il governo Gentiloni aveva annunciato il parere negativo, e costruito un “blocco” con altri Paesi che ha fermato il nuovo regolamento. Ma questo, al ministro leghista in campagna elettorale permanente, poco importa.

Fonte: Emanuele Lauria, LA REPUBBLICA



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