Frontiere. L’imbuto del Niger

Frontiere. L’imbuto del Niger

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«Sono rimasto oltre tre mesi bloccato con le soldataglie di Sabratha. Le avevo pagate quasi mille dollari. Ma, da quando l’Italia ha chiuso i confini, attraversare il Mediterraneo è diventato impossibile trasportare noi migranti africani anche per le milizie libiche più agguerrite. Così sono tornato in Niger da pochi giorni», racconta Mohammed Kamara, 26 anni: partito dalla Liberia un anno fa, ora cerca disperatamente di tornare a casa. Accanto a lui Epata Moncler, 25 anni di Brazzaville in Congo, ha una storia diversa, eppure simile nella solitudine. «Lavoravo ad Algeri come muratore. Da oltre tre anni avevo uno stipendio e una buona abitazione con altri congolesi. Ma poche settimane fa la polizia algerina ha fatto irruzione nel nostro cantiere. Gli agenti ci hanno preso tutto: soldi, cellulari, vestiti, persino i documenti. Poi siamo stati caricati su di un bus e abbandonati a 7 chilometri dal confine con il Niger a sud di Tamanrasset. Abbiamo dovuto marciare per 20 chilometri prima di trovare acqua e aiuto al posto di blocco dell’esercito del Niger. Ora spero nell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni o nell’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati. Ho sentito che voi europei potreste darci una mano».

Anche per loro negli ultimi due giorni Antonio Tajani si è recato in Niger. Quarantotto ore di incontri, discorsi e soprattutto progetti da definire. Tajani è stato molto chiaro. «Questo Paese è il collo di bottiglia dell’Africa da cui transita il 90% dei disperati che entrano in Libia verso l’Europa», ha dichiarato incontrando i leder del Paese assieme a quelli delle assemblee nazionali di Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Mali. Con lui una trentina di rappresentanti di grandi ditte europee con una parola d’ordine precisa: aiutiamo l’Africa a crescere per fermare assieme i flussi di persone in fuga verso l’Europa. Ieri mattina il presidente del Parlamento Europeo ha così delineato il suo «Piano Marshall» per il continente. «La Turchia ha ricevuto sei miliardi di euro per controllare i flussi. Qualche cosa di simile va fatto per l’Africa», ha aggiunto. Il momento più toccante è stato in uno dei centri di accoglienza dell’Unhcr ospitante decine di donne appena uscite dalla Libia, specie somale, sudanesi ed eritree. Con loro Tajani ha voluto modificare il suo programma e chiudersi in una stanza riservata per sentire i loro racconti. Tante hanno subito violenze sessuali. Non ne parlano apertamente. Tajani è accompagnato dalle psicologhe. «Siamo vostri amici. So che avete incontrato un mondo cattivo. Ma non sono tutti così. Vogliamo aiutarvi», ha esclamato commosso, con un’umanità partecipata che ha stupito anche il suo entourage e i funzionari locali. «Salvini vuole i campi in Libia? Ma si rende conto che sono lager?», ha esclamato uno dei consiglieri italiani.

«Queste donne hanno bisogno di attenzioni. Il Niger le ha lasciate rientrare e ora diverse nazioni europee, oltre al Canada e agli Usa che offrono visti a 250 bambini, sono pronti a riceverle, con Germania, Svezia e Francia in testa», spiega Alessandra Morelli, veterana responsabile dell’Unhcr a Niamey. Sulle violenze sessuali parlano anche gli operatori dell’organizzazione italiana Copi: «Non sappiamo quante siano state violentate dai trafficanti africani, dai loro compagni durante il viaggio o dai loro aguzzini in Libia. Valutiamo che il 40% abbia comunque subito violenze sessuali. Dieci al momento sono incinte sulle 418 di ogni età che si trovano nelle case di transito qui a Niamey. Abbiamo anche i casi di giovani uomini torturati e picchiati».

L’Europa viene in Niger in un momento di grazia. Dal 2016 gli arrivi di migranti in Libia sono diminuiti del 95%, cosa che contribuisce a fermare gli sbarchi sulle coste europee. E l’Onu si organizza per «distribuire» all’estero gli aventi diritto all’asilo. I centri Unhcr in un anno e mezzo hanno ricevuto circa 1.800 persone. L’Oim ne ha fatto partire da Tripoli con voli speciali oltre 33.000, la grande maggioranza dovrebbe tornare nelle regioni di origine.

Eppure, proprio visitando il Niger, ci si rende conto delle enormi difficoltà. «Qui nessuno vuole stare perché siamo il penultimo nella graduatoria dei Paesi più poveri del mondo. Il nostro tasso demografico supera il 4%. Da una popolazione di 9 milioni tre decadi fa a oltre 28», dicono al ministero degli Esteri. Il problema terrorismo si affianca a siccità e disastro ambientale. Boko Haram si espande nell’Est, le sue colonne arrivano dalle zone del semi-prosciugato lago Ciad. Ai confini con la Libia operano le tribù Tuareg tra militanti di Isis e predoni ben organizzati. È incandescente il confine con la Nigeria, tanto che si registrano attacchi a soli 40 km da Niamey. «Solo la crescita economica con il nostro aiuto può salvare l’Africa», ribadisce Tajani alle ditte locali. I cinesi sono già presenti in forze. Il Niger attende che si passi dalle parole ai fatti.

* FONTE: Lorenzo Cremonesi, CORRIERE DELLA SERA

photo: By Albert Backer [CC BY-SA 3.0 ], from Wikimedia Commons



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