C’è un altro Mondiale che la Russia di Putin sta giocando, al quale partecipiamo tutti, anche senza saperlo. È il campionato dell’egemonia sul mondo liquefatto ora che l’America di Trump si è autoeliminata dal ruolo guida mantenuto per settant’anni. Ben oltre la finale, la coppa, i rigori e il successo della nazionale russa sbarcata ai quarti di finale. Il Grande Arbitro del Cremlino tesse, da almeno tre anni, la maglia di un torneo, che ha in palio un trofeo che nessuno dei suoi torvi predecessori mai ottenne, sprecando fortune in armamenti e propaganda: la disintegrazione e quindi la resa progressiva dell’avversario storico, l’odiato e invidiato Occidente.
La Commissione Intelligence del Senato americano, la Camera alta che ancora difende qualche sembianza di autonomia e di controllo sulla Casa Bianca, ha concluso in questi giorni con un rarissimo esempio di “ bipartisanship” repubblicana e democratica che realmente, come le agenzie di controspionaggio andavano ripetendo inascoltate, organizzazioni russe, indirizzate dal presidente ormai a vita Putin, avevano cercato di intervenire e manipolare le elezioni presidenziale del 2016 con il chiaro intento di danneggiare Hillary Clinton e aiutare il proprio favorito Donald Trump. Nessuno è riuscito ancora a determinare se le talpe russe che scavavano nella terra soffice dei social network con notizie false e rivelazioni scandalose e gli hackers che avevano penetrato i server del Partito dermocratico già dal 2015, accumulando munizioni da sparare sull’avversaria direttamente o attraverso WikiLeaks, abbiano davvero spostato quei circa 70 mila voti sparpagliati nei collegi presidenziali chiave — Pennsylvania, Michigan, Wisconsin — che hanno portato Trump alla maggioranza nel conteggio dei grandi elettori presidenziali. Ed è probabile che Clinton, nella sua inettitudine e sordità di candidata, sarebbe riuscita a perdere comunque i voti di quell’America riottosa, revanscista e spaventata.
Ma la notizia non è che ci siano riusciti. È che ci abbiano provato. È che il Cremlino abbia tentato di comperare il Mondiale dell’egemonia truccando la partita chiave, l’elezione del capo dello Stato americano, sapendo che non esiste in politica un Var, un replay video che possa ri- setacciare le azioni e determinare i falli e le violazioni. Con la vittoria di Trump, e con lui della retorica dell’America First — la stessa che aveva ispirato il movimento isolazionista neonazi di Charles Lindbergh nel 1938 — il resto del tabellone avrebbe lentamente, ma inevitabilmente ceduto sotto le spallate politiche, economiche e commerciali che oggi vediamo in campo. Il “ Candidato siberiano” avrebbe messo in moto una reazione a catena di attacchi e rappresaglie, alla quale gli alleati tradizionali degli Usa, in America come in Europa, non avrebbero potuto resistere. Toccando quei commerci attorno ai quali ruota la diseguale, ma sempre invidiabile prosperità dell’Occidente. Il Mondiale di Putin ha dunque una strategia evidente e ripresa in chiave non cruenta — almeno per ora — da quella dei suoi truculenti precedessori. Arrivare a giocare eliminatorie singole, nazione per nazione, sapendo che non potrebbe mai vincere affrontandole tutte insieme, come in passato con la Nato e l’Unione europea. Nessuno dei Paesi europei — certamente non quelli oggi guidati da leader sfacciamente filo-putiniani, come il Salvini che indossa colbacchi e t- shirt con il volto dello zar — sarebbe in grado di resistere a pressioni dirette del colosso euroasiatico e, di partita in partita, Putin conquisterebbe la vittoria finale.
Tra autogol commessi dalle controparti, che si sbranano fra di loro anche all’interno dell’apparentemente granitica Germania, crisi psico-sociali da immigrazione incontrollata, maggioranze e governi di apprendisti e dilettanti sulla scena mondiale, l’Europa è una squadra senza commissari tecnici, senza tattica, senza voglia di battersi, esposta a ogni attacco e a ogni contropiede. Il perno attorno al quale ruotava, l’America, si è spezzato, come volevano i mestatori denunciati ora ufficialmente dalla Commisione d’inchiesta bipartisan del Senato; Trump sta avanzando l’idea di ritirare anche le ultime unità americane dalla Germania, come dalla Corea del Sud, e tra pochi giorni incontrerà personalmente Putin, in un colloquio a quattr’occhi, senza interpreti, affidato alla conoscenza dell’inglese del presidente russo che, come tutti gli alti ufficiali del Kgb, un po’ di lingue straniere ha dovuto impararle.
Domani, la Russia del calcio potrà anche perdere contro quella Croazia, che nel mondo balcanico è uno dei capisaldi dell’animosità anti- russa. Ma al Grande Gioco del potere mondiale, la Russia di Putin sta vincendo.
Quel 57% ungherese. Non tutti gli astenuti sono contro i respingimenti ma certo ci sono i protagonisti dell’accoglienza, quelli che un anno fa hanno marciato da Budapest a Vienna
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