Quattro milioni di persone dello Stato indiano nord-orientale di Assam si trovano nel limbo dopo essere stati privati della cittadinanza: il Registro nazionale dei cittadini, aggiornato dalle autorità di New Delhi per la prima volta dal 1951, ha escluso tutti coloro che non possono dimostrare di vivere nello Stato da prima del 25 marzo 1971. La data spartiacque è il giorno in cui il Bangladesh si dichiarò indipendente dal Pakistan, scatenando una guerra che spinse centinaia di migliaia ad attraversare il confine lungo 270 km che divide il Pakistan dall’Assam, la cui popolazione attuale, di 33 milioni, è per un terzo bengalese. Per il governo indiano, soltanto coloro che si sono stabiliti nello Stato prima della guerra ne sono cittadini legittimi.
Ad Assam si è subito scatenata la paura di una caccia alle streghe contro le minoranze di origini bengalesi, inasprita da decenni di tensioni sociali: la comunità indigena accusa gli immigrati musulmani di aver alterato l’equilibrio demografico, mentre questi ultimi rifiutano fermamente l’etichetta di ” immigrati illegali”, ribadendo che molti dei loro antenati si erano già insediati nello Stato. Nel 1983, le frequenti manifestazioni si trasformarono in episodi violenti: il 14 febbraio, un gruppo di indigeni si accanì sulle minoranze bengalesi e, in quello che passò alla storia come il ” massacro di Nellie”, oltre 2.000 bengalesi furono uccisi a colpi di machete.
La nuova lista è una promessa mantenuta del partito ultra-nazionalista Bharatiya Janata Party ( quello del premier Narendra Modi), che nel 2016 vinse le elezioni con un’ampia retorica sulle espulsioni degli ” immigrati clandestini”. Il processo del controllo dei documenti fu subito avviato sotto lo sguardo della Corte Suprema. Una prima bozza, pubblicata a gennaio, aveva già creato un’ondata di panico poiché conteneva solo 19 milioni dei 32.99 milioni richiedenti. I musulmani di origini bengalesi temono ora l’imprigionamento in centri di detenzione, se non l’espulsione. Il governatore dell’Assam, Sarbananda Sonowal, ha tentato di rassicurare gli esclusi: «Nessun autentico cittadino indiano deve angustiarsi, verranno date ampie opportunità per dimostrare di avere i requisiti. Nessuno verrà trattato come straniero » . Lo stesso ministro dell’Interno federale, Rajnath Singh, ha sottolineato che la versione ufficiale verrà presentata a dicembre e che i 4 milioni avranno modo di fare ricorso prima di allora. Ha poi ordinato al governo dell’Assam di non prendere alcuna iniziativa contro coloro che non sono nel registro e di evitare di creare un’atmosfera di «inutile panico».
Per gli esclusi dalla lista sarà possibile presentare i reclami a partire dal 28 agosto. Ma il problema spiega l’attivista Prashant Bora – è che per la maggioranza si tratta di persone estremamente povere, analfabete e prive di documenti che possano effettivamente testimoniare gli anni trascorsi nello Stato di Assam. La possibilità di cui parla il governo indiano è dunque un’opzione salvifica poco realistica per i 4 milioni ora nel limbo. «Dire che verrà data loro la possibilità di dimostrare la cittadinanza è facile, ma dimostrare la cittadinanza non lo è», accusa Bora.
Qualcosa come trent’anni fa lo storico americano Greil Marcus ci aveva spiegato che il punk era in realtà una «percorso segreto» inscritto nel cuore della cultura occidentale. Un filo rosso che univa gli eretici medievali al movimento Dada, i situazionisti a Johnny Rotten dei Sex Pistols e ai suoi due versi d’esordio vomitati in un disco del 1976: «Sono un anticristo/ sono un anarchico». Roba da museo.
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