NESSUNO TOCCHI CAINO. IL CATECHISMO DI PAPA FRANCESCO

NESSUNO TOCCHI CAINO. IL CATECHISMO DI PAPA FRANCESCO

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Papa Francesco ha approvato la modifica del n. 2267 del Catechismo della chiesa cattolica. Fino a ieri quel testo ammetteva che i casi di assoluta necessità di soppressione del reo erano «ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti». Francesco ha modificato quel dettato ed escluso in ogni caso la liceità della pena di morte.
L’atto papale arriva 50 anni dopo l’abolizione della pena di morte dalla Città del Vaticano, 155 dopo il pensionamento di Mastro Titta, il leggendario boia del Papa che lasciò il lavoro dopo 564 esecuzioni, e 26 dopo la pubblicazione del Catechismo.

Un gesto giusto e salutato da entusiasmo. Ma che ha tre aspetti meno ovvi.
Il primo riguarda lo strumento: Francesco è restio a scrivere norme. Se ha firmato un “rescritto” non è perché ha cambiato opinione (è abolizionista da sempre, come cristiano e argentino), ma per dare valore a un senso comune dei cristiani. L’antico privilegio dei cappellani delle carceri o il permesso di dare assistenza ai detenuti d’ogni fede ha tenuto una quota piccola ma significativa del cattolicesimo a ridosso del braccio della morte: la storia di suor Helen Prejean, ora ottantenne, è paradigmatica di una azione abolizionista che aveva sostenuto la campagna per la moratoria che aveva trovato sulla sua strada anche movimenti, cristiani e non. Col tempo tutti avevano ricevuto simpatia dal papato: adesso trovano un ascolto che diventa norma. È un modello.
C’è però un altro dato che sta scritto nella lettera con cui il cardinale Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha trasmesso ai vescovi il rescritto papale: ha scritto che la posizione di Francesco «non è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del Magistero», giacché il precedente possibilismo si collocava in un «contesto sociale» diverso e in un ambiente «in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine». Argomento goffo, privo di una schiettezza biblica che perfino i radicali nel 1993 avevano colto quando fondarono Nessuno tocchi Caino con versetto della Genesi. Se Ladaria lo usa è perché ha la sensazione che il Papa debba giustificarsi nel ritoccare un documento sul cui peso c’è una discussione che dura dal 1985.
Il catechismo della “chiesa universale” è una invenzione ratzingeriana. L’idea di scrivere un catechismo fu di Lutero; il Tridentino la copiò facendone uno per parroci; Pio X ne fece uno con le celeberrime domandine per la diocesi di Roma e la sua diffusione globale fu, per così dire, spontanea. Poi venne il catechismo olandese, nel ’69, poco gradito a Roma, ma che postulava un protagonismo delle chiese locali.
Ratzinger sostenne l’esigenza di un catechismo universale: lo ottenne dal sinodo del 1985 e lo finì nel ’92.
Un testo con parti (sulla preghiera) ricche, tecnicismi moralistici assurdi (sugli omosessuali a cui Dio avrebbe dato la vocazione obbligatoria alla castità), e astuzie politiche (la ri-legittimazione della guerra giusta contro Pacem in terris). Al Catechismo Ratzinger ha sempre dato un valore «magisteriale», come atto «universale» a cui i vescovi devono allinearsi. Francesco ha un’idea diversa dell’autorità dei vescovi: quando tocca il Catechismo sa di entrare in un terreno sensibile, lo ha fatto con cautela, quasi volesse indicare un esempio di come il sensus fidei del popolo di Dio può dialogare con l’autorità.

* Fonte: Alberto Melloni, LA REPUBBLICA



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