Francia. Un altro sabato di proteste, il nono dei gilet

Francia. Un altro sabato di proteste, il nono dei gilet

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PARIGI. A tre giorni dal lancio del «Grande dibattito nazionale», che si svolgerà a livello locale in tutta la Francia, l’Atto IX della protesta del gilet gialli secondo i dati del ministero degli Interni ha riunito ieri 32mila persone in tutto il paese, 8mila a Parigi (più della scorsa settimana) e circa 5mila a Bourges, che era stata scelta perché situata al centro del territorio nazionale.

LE MANIFESTAZIONI sono state più calme delle precedenti, a Parigi il percorso questa volta era stato dichiarato (da Bercy agli Champs Elysées), i gilet avevano anche organizzato un servizio d’ordine, ma dal primo pomeriggio ci sono stati alcuni momenti di tensione, la polizia ha fatto di nuovo ricorso a lacrimogeni e cannoni ad acqua, attorno all’Etoile, per impedire a gruppi di manifestanti di andare nei grandi viali adiacenti.

La presenza della polizia era molto massiccia, e questo è uno degli elementi che alimenta la contestazione. Ci sono stati 129 fermi a Parigi, 20 i feriti, due gravi (uno a uno, manifestanti-polizia). 17 i fermi a Bourges, molti preventivi (persone trovate con oggetti contundenti), altra causa di tensione. Qualche scontro a fine cortei anche in altre città: Tolosa, Marsiglia, Nîmes e anche qui è sotto accusa l’atteggiamento della polizia, che ricorre ai lacrimogeni ma anche alle flashball (proibite in altri paesi) con troppa facilità.

La repressione della polizia è diventata una questione centrale, mai dal ’68 era stata così violenta, ci sono denunce per uso eccessivo della forza, che verranno giudicate nei tribunali. Più di mille persone sono rimaste ferite, alcune molto gravemente (hanno perso un occhio, una mano ecc.), ma anche i poliziotti deplorano qualche centinaio di feriti. Dieci persone hanno perso la vita nelle settimane di agitazione, soprattutto in incidenti sui carrefour.

Dopo nove sabati consecutivi di protesta, il paese resta spaccato: il sostegno ai gilet è in calo, ma resta importante, mentre cresce l’incomprensione tra due France che non riescono a ristabilire il dialogo. Questo dialogo dovrebbe poter venire riannodato con il Grande dibattito, almeno queste sono le intenzioni del governo e di Emmanuel Macron, che ha proposto l’idea il 27 novembre scorso, che è stata però accolta con molta circospezione dai gilet. Martedì, Macron darà il via al dibattito al Grand Bourgtherulde, una cittadina della Normandia. La presenza del presidente può essere considerata incongrua, perché il dibattito sarà tra cittadini, anche se il governo ha chiesto aiuto ai sindaci per l’organizzazione.

RIPORTERÀ LA CALMA e un po’ di razionalità? La tensione resta altissima, nelle manifestazioni Macron è il bersaglio, ancora ieri lo slogan più sentito a Parigi era «Macron dimissioni» (ma anche urla più volgari: «Macron, tête de con, veniamo a cercarti a casa»). Il governo vuole inquadrare il Grande dibattito, per evitare che diventi uno sfogatoio senza direzione, limitandolo a quattro questioni: la transizione ecologica, la fiscalità, l’organizzazione dello stato, la democrazia e la cittadinanza. Sono temi ampi, che ricoprono molte delle richieste venute fuori dal movimento di protesta, iniziato come una rivolta anti-tasse (sui carburanti) poi allargato a una più generale richiesta di equità fiscale e di eguaglianza (con il simbolo del ritorno della patrimoniale anche per i capitali).

LA GRANDE VIOLENZA che ha caratterizzato le manifestazioni ha finito per far perdere consensi ai gilet gialli, dove un nucleo duro vuole la testa di Macron, ne contesta la legittimità avanzando una seconda legittimità, quella del “popolo” (che a sua volta viene contestata da una parte dei cittadini). Il dibattito dovrà affrontare la questione della rappresentanza e della democrazia, in un clima di contestazione generale. In discussione c’è il ricorso al Ric, il referendum propositivo, (ma su quali temi? Ha gettato costernazione un intervento del nuovo segretario del Pcf, che considera possibile una consultazione sulla pena di morte). Come avverrà la ricezione delle domande che usciranno dalle migliaia di dibattiti locali? Circolano varie proposte per adottare “tecniche” innovative, come per esempio tirare a sorte dei cittadini a fine percorso, per recepire le richieste. Il rischio è che non venga trovata la strada democratica del dibattito, allora due visioni saranno faccia a faccia, senza mediazioni, entrambe pericolose per la democrazia: da un lato, il potere che sceglie la strada della repressione, dall’altro un movimento radicalizzato dove si infiltra soprattutto l’estrema destra e che mette in discussione le regole della democrazia rappresentativa.

* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO



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