Mattarella conferisce l’incarico a Conte, che rivendica ma promette novità

Mattarella conferisce l’incarico a Conte, che rivendica ma promette novità

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Dai microfoni del Quirinale, all’atto di accettare con riserva l’incarico per formare il nuovo governo, Giuseppe Conte trova modo di non alludere mai al particolare che lo vede indicato per quel ruolo dal Movimento 5 Stelle. Una «dimenticanza» che non è piaciuta al capo dello Stato, per cui deve essere chiaro che quello che forse nascerà non è un governo «del presidente» ma un governo politico con il premier indicato dal partito di maggioranza relativa, ma che in compenso è eloquente sul tasso di ambiguità che ancora regna sovrano non solo trai partiti ma anche tra i soggetti individuali che si apprestano a formare il governo.

IN COMPENSO CONTE ha chiarito chi sarà il garante di quella discontinuità che reclama il Pd: lui stesso. Il premier uscente e rientrante non lo dice ma lo fa capire chiaramente nel discorso con cui annuncia il conferimento dell’incarico da parte del presidente Mattarella. In buona parte la sua descrizione dei compiti di quello che «non sarà un governo contro ma un governo per», checché ne pensi Matteo Salvini, è un libro dei sogni. Il paradiso terrestre secondo l’avvocato Conte. Un Paese dove tutto funziona a meraviglia. Ma il tono generale è chiaramente spostato a sinistra e l’incaricato non esita a parlare di «governo nel segno della novità». Insiste e martella su una politica di «benessere ecosostenibile», sulla «rimozione delle diseguaglianze», sulla «valorizzazione dei beni comuni». La professione di europeismo è priva di quei rilievi critici, pur se mai estremi, che erano puntualmente presenti nei discorsi del «Conte di prima». Quando si tratta di segnalare gli elementi di continuità sceglie quello sul quale l’intesa del Pd è comunque garantita, la «difesa della legalità», e glissa sul tema che è invece il più dolente, l’immigrazione, che non viene neppure citata nell’agenda delle priorità del nuovo governo. Non a caso, Conte conclude con un’esortazione quasi identica a quella del segretario dem Nicola Zingaretti, dopo la consultazione al Quirinale: «E’ il momento del coraggio e della determinazione».

L’AVVOCATO È ABILE, lo ha già dimostrato. Si conferma tale quando si tratta di muoversi sul terreno più scivoloso, la successione a se stesso ma alla guida di un governo di segno opposto. Giura di aver esitato salvo poi superare le perplessità. L’escamotage è una versione colta e sofisticata del solito e rozzo «né di destra né di sinistra»: la formula, già più volte adoperata, del «nuovo umanesimo» che, va da sé, è per definizione qualcosa che non può riguardare una parte o altra ma riunifica l’intero Paese.

A partire dalle prime consultazioni, ieri pomeriggio, Conte sta cercando di mettere a punto la squadra e il programma con i quali tradurre in pratica quotidiana di governo il suddetto «neo umanesimo». Ha incontrato le autonomie e LeU, vedrà oggi i partiti maggiori. Ma forse la consultazione più importante è stata quella della mattina, con il capo dello Stato, al momento dell’incarico.

Non è un colloquio burocratico, stretta di mano e conferimento dell’incarico. I due, al contrario restano nello studio del capo dello Stato per oltre un’ora ed è il presidente a volere fare il punto in maniera approfondita. Sin qui le cose sono andate come voleva lui. La nuova maggioranza nasce, senza una sua pressione diretta, con l’ambizione di dar vita a quel governo di ampio respiro che lo stesso inquilino del Quirinale aveva chiesto. Le difficoltà restano ma le ultime due giornate hanno reso evidente che tornare indietro non si potrà in nessun caso. La reazione trionfale e imprevista in misura simile dei mercati non permette retromarce. Il risultato, in quel caso, sarebbe una reazione di uguale forza ma di segno opposto.

COSA SI SIANO DETTI il capo dello Stato e il presidente incaricato è ovviamente circondato dal massimo riserbo ma è un fatto che stia avanzando, negli schemi che Conte ha di fronte, un modello molto simile a quello ipotizzato già mercoledì sera da Beppe Grillo. Un governo con all’interno molte figure esterne ai due partiti. Più che «tecnici» esperti con specifica competenza. Sarebbe la via più opportuna non solo per affrontare i compiti del prossimo governo ma anche per impedire che la corsa ai ministeri si trasformi in una ressa, per non dire in una rissa, tra le correnti interne sia ai 5 Stelle che al Partito democratico con evidenti effetti destabilizzanti. I partiti figurerebbero in alcuni ministeri, quelli più squisitamente politici, e nei sottosegretariati. Sarebbe anche, probabilmente, un modo per risolvere il nodo che resta in sospeso: il caso Di Maio.

* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO



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