Mentre comincia la battaglia legale, Mittal taglia ovunque
Sciopero riuscito a Novi. L’Usb lo proclama per il 29 e chiede la riconversione
Mentre a Taranto vola via la bandiera dell’Arcelor Mittal – a causa del vento – il gruppo indiano in soli due giorni ha chiuso un’acciaieria in Sud Africa e ha sospeso la produzione in Polonia.
SEGNALI INEQUIVOCABILI di una strategia globale di drastica riduzione della produzione, decisa repentinamente negli ultimi mesi. Se l’annuncio della chiusura dello stabilimento nella baia di Saldanha entro il primo trimestre del 2020 è arrivato con un comunicato stampa, la sospensione temporanea della produzione nell’acciaieria di Cracovia partirà fra dieci giorni. La motivazione addotta è «l’indebolimento della domanda di acciaio».
Entrambi i casi non sono paragonabili con Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, e con il mercato italiano. Ma rendono bene l’idea della decisione presa dalla famiglia Mittal.
La battaglia giudiziaria che si appresta ad andare in scena al tribunale di Milano – sede legale di Arcelor Mittal Italia – è il corollario nostrano. Ieri il presidente del Tribunale Roberto Bichi ha ricevuto dalla cancelleria centrale l’atto di citazione con cui l’azienda ha chiesto il recesso del contratto di affitto dell’ex Ilva. Oggi assegnerà, «secondo dei rigidi criteri tabellari» – fanno sapere dal palazzo di Giustizia – il procedimento a una delle due sezioni specializzate in materia di imprese.
La procedura è d’urgenza anche perché Arcelor Mittal ha chiesto all’amministrazione straordinaria di Ilva di tornare il possesso degli stabilimenti il 5 dicembre. Toccherà al giudice convocare l’udienza e decidere se accettare o rigettare il ricorso, basandosi sul contro-ricorso presentato dai commissari nominati dai governi.
Nel frattempo anche i sindacati hanno deciso di rispondere in modo formale ad Arcelor Mittal, che nel suo ricorso fa partire i 30 giorni per il ritorno degli stabilimenti ai commissari dal 5 novembre, giorno in cui comunicò ai sindacati le sue intenzioni di «avvio della procedura prevista per il trasferimento d’azienda». I tre segretari generali di Fiom, Fim e Uilm Francesca Re David, Marco Bentivogli e Rocco Palombella, «esprimono valutazioni diverse» da quelle sostenute da ArcelorMittal «sulla sussistenza delle condizioni giuridiche per la rescissione del contratto di affitto e quindi per la procedura di retrocessione dei relativi rami di azienda in capo a Ilva, come già espresso dai Commissari straordinari». «Riteniamo in ogni caso – proseguono – urgente l’incontro ed il confronto per discutere sulle prospettive e sul rispetto degli accordi e degli impegni assunti. Auspichiamo inoltre – concludono – che tale incontro si svolga presso il ministero dello Sviluppo economico, dove ha avuto luogo la procedura, che si è conclusa con l’accordo del 6 settembre 2018». Quasi impossibile però che l’azienda accetti.
MOLTO PARTECIPATO LO SCIOPERO di ieri allo stabilimento di Novi Ligure con presidio davanti alla Prefettura di Alessandria. I 700 operai diretti che con l’indotto arrivano a 1.300 occupati che dipendono dall’acciaieria hanno manifestato contro l’azienda. Il Consiglio comunale di Novi ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna sindaco e giunta «ad adoperarsi presso il governo e a partecipare a tutti i tavoli di confronto promossi a ogni livello». Prevista anche la convocazione di un Consiglio comunale aperto a lavoratori e popolazione.
IERI È STATA L’USB A PROCLAMARE uno sciopero generale nazionale per tutta la giornata di venerdì 29 novembre, con manifestazione nazionale a Taranto. Il sindacato che a settembre scorso aveva sottoscritto l’accordo assieme ai confederali ora propone la riconversione dell’acciaieria «perché il ricatto che si vuole far ingoiare ai lavoratori dell’ex Ilva è lo stesso ricatto che usano contro tutti i lavoratori ogni giorno. A Taranto va in scena l’ennesima rapina utilizzando il ricatto del lavoro. Come già accaduto nelle ferrovie, nelle autostrade, nelle tlc e come sta accadendo in Alitalia si vogliono regalare miliardi pubblici alle multinazionali, facendo perdere al paese quel poco che rimane della sua vocazione industriale». «Si vuole costringere una città a piangere altri morti e a continuare a sopportare i fumi e le polveri omicide dell’ex Ilva – si legge nel comunicato – pur di salvaguardare l’occupazione, e nemmeno tutta. Di fronte al fallimento dei finti piani di risanamento ambientale e allo smascheramento degli intenti di rapina di Mittal non si può piegare ancora la testa, come vorrebbero Cgil, Cisl e Uil in cambio di qualche esubero in meno».
* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto
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