«Un reddito di base e incondizionato è necessario», se ne è discusso a Roma

«Un reddito di base e incondizionato è necessario», se ne è discusso a Roma

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La richiesta di forme di reddito incondizionato a partire da una quota parte degli attuali beneficiari

IL 28 gennaio 2019 veniva promulgato il decreto legge che istituiva il reddito di cittadinanza, modello 5Stelle. A quasi un anno di distanza, sabato 16 gennaio, il Basic Income Network Italia ha organizzato alla Casa Internazionale delle Donne di Roma un incontro, dal titolo evocativo: “Verso il reddito di base e oltre”, con il chiaro intento di discutere come sia possibile immaginare un percorso che vada oltre l’odierno “reddito di cittadinanza”, mix tra contrasto alla povertà e politiche attive e non ancora pienamente iscritto in quel diritto al reddito come strumento di redistribuzione delle ricchezze e che sia effettivamente foriero di liberazione e autodeterminazione.

Anche il luogo non è stato scelto a caso. Il movimento femminista “Non una di meno” infatti ha rilanciato il tema inserendo tra i punti della loro piattaforma proprio la proposta di un reddito di autodeterminazione, dunque incondizionato, contro la violenza economica maschile e sociale.

Dopo gli onori di casa di Maura Cossutta (presidente della Casa)e l’introduzione di Sandro Gobetti (presidente del Bin-Italia), Maria Rosaria Marella ha coordinato il dibattito nel quale sono intervenuti nell’ordine: il sociologo Domenico De Masi e gli economisti Andrea Fumagalli e Elena Granaglia.

L’introduzione di Sandro Gobetti si è soffermata nel cercare di sfatare il tabù del reddito incondizionato, mostrando come attualmente nel mondo siano in corso decine di sperimentazioni di un reddito totalmente scevro dai obblighi di comportamento, di lavoro e di consumi. Dalla piccola città di Marica in Brasile alla sperimentazione in India promossa dal sindacato delle donne SEWA, dalla Corea del Sud dove il reddito è destinato ad oltre 140 mila giovani passando per il Canada, la Finlandia. Arrivando fino in Kenya dove oggi viene erogato ad oltre 16mila persone residenti in oltre 100 villaggi rurali. Le sperimentazioni di un reddito di base incondizionato coinvolgono numerosi paesi nel mondo e cercano di dare una risposta alla crisi del welfare legato al lavoro, all’avvento della robotica e dell’automazione, all’aumento della precarietà sociale ed alla necessità di ripensare un modello di sviluppo a partire dalla condivisione delle ricchezze prodotte.

Se Domenico De Masi ha ribadito comunque la validità della legge 5Stelle come primo strumento di riduzione della povertà assoluta, Andrea Fumagalli e Elena Granaglia hanno invece ribadito la necessità che un reddito di base per essere veramente tale debba essere incondizionato. Fumagalli ha fatto notare come nei contesti della valorizzazione odierna,buona parte degli atti di vita sono oramai inseriti in una catena di produzione di ricchezza, il più delle volte espropriata a vantaggio di pochi. Il reddito di base quindi deve essere considerato come reddito primario, ovvero remunerazione di quella produttività sociale e comune che oggi viene erogata in condizioni di gratuità. Granaglia, facendo riferimento a una letteratura recente assai condivisa, ha argomentato come qualunque criterio di selettività a fronte dell’eterogeneità dei soggetti interessati, è foriero di iniquità e distorsioni, oltre che assai costoso. Inoltre il reddito incondizionato è particolarmente importante per le donne e i giovani, oggi troppo spesso sottoposti a vincoli economici che minacciano la loro autodeterminazione.

È risultato così chiaro che per migliorare la strada aperta dalla legge sul reddito e andare oltre bisogna decisamente puntare sulla riduzione dei vincoli e delle condizioni oggi in essere, sino al loro totale smantellamento. Allo stesso tempo, sarebbe auspicabile, con l’apporto dell’INPS e di altri enti,iniziare a sperimentare già oggi, in Italia, forme di reddito incondizionato a partire già da una quota parte dei percettori del reddito di cittadinanza.

*www.bin-italia.org

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«Reddito di cittadinanza», 493 euro in media agli italiani, esclusi gli stranieri

Rapporto Inps. Continua la lotta dei precari rappresentati dal sindacato delle Clap all’agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal): “Stabilizzare tutti”. Annunciati un nuovo sciopero e un presidio al ministero del lavoro

Sono 1,1 milioni le domande di reddito e pensione di cittadinanza che sono state accolte dall’Inps fino all’inizio di gennaio 2020. Tra queste famiglie che hanno ottenuto il beneficio 56 mila sono decadute. Le famiglie titolari di reddito (916 mila per 2,4 milioni di persone coinvolte) e di pensione di cittadinanza (126 mila con 143 mila persone coinvolte) sono nel complesso 1.041.000 per oltre 2,5 milioni di persone coinvolte dal sussidio. L’importo medio mensile percepito da queste famiglie ammonta a 493 euro. Lo si legge nell’Osservatorio Inps sul Reddito di cittadinanza.

Il «reddito di cittadinanza», in realtà un sussidio di ultima istanza che sarà vincolato al lavoro, alla formazione e alla mobilità obbligatoria dei beneficiari anche su tutto il territorio nazionale, è stato erogato per il 90% dei casi ai cittadini italiani. Solo il 6% risulta erogata a cittadini extracomunitari e per il 3% a cittadini europei. Per l’1% è erogato a familiari di queste categorie. Questa composizione percentuale – spiega l’Inps nel suo Report sul Reddito – «non è variata rispetto a quella delle domande presentate fino a settembre, pur in seguito allo sblocco dei pagamenti di 40 mila domande di cittadini extracomunitari avvenuto nel mese di dicembre». È la conseguenza dell’esclusione dei cittadini extracomunitari che risiedono in Italia da meno di dieci anni. Una decisione zenofoba decida dal governo Lega-Cinque Stelle «Conte 1» e, fino a questo momento, confermata anche da quello Cinque Stelle-Pd «Conte 2». È l’evoluzione dell’idea vengono «prima i poveri italiani». Quelli stranieri non esistono. Una norma xenofoba da abolire.

All’Anpal servizi, cuore del sistema del «reddito», prosegue il conflitto tra il sindacato delle Clap che rappresenta buona parte dei 654 precari ma è stato escluso dalle trattative e l’azienda che ne vuole stabilizzare 400, per di più vincolando l’assunzione a una «valutazione positiva delle prestazioni». Anche per i sindacati Cgil, Cisl e Uil ciò significa accrescere la discrezionalità ed è «irricevibile». Le Clap hanno annunciato uno sciopero e un nuovo presidio al Ministero del lavoro

* Fonte: il manifesto



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