Colombia. Con la presidenza Petro riprende il processo di pace

Colombia. Con la presidenza Petro riprende il processo di pace

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IL NUOVO CLIMA DOPO LA STORICA SVOLTA ELETTORALE A SINISTRA. Il progetto è quello di trasformare il Paese in una «potenza mondiale della vita», con la consapevolezza che non sarà facile

 

Con la presidenza di Gustavo Petro, che partirà ufficialmente il prossimo 7 agosto, la pace, in Colombia, ha di nuovo una chance. Dopo i colpi inferti dal governo Santos all’accordo di pace con le Farc del 2016, rimasto inapplicato per oltre l’80%, e ancor di più dopo la promessa del governo uribista di Iván Duque – ampiamente mantenuta – di «hacer trizas la paz» (fare a pezzi la pace), tutto potrebbe cambiare con il nuovo governo.

NON A CASO, NEL PROGRAMMA presentato da Petro e dalla sua vice Francia Márquez, dall’evocativo titolo «Colombia, potenza mondiale della vita», un intero capitolo è dedicato alla promessa di lasciarsi alle spalle la guerra e di entrare «finalmente in un’era di pace». «Il nostro obiettivo – vi si legge – è realizzare una pace completa e il buen vivir della popolazione» e, per realizzarlo, «applicheremo integralmente gli accordi di pace con le Farc e riprendermo i negoziati con l’Eln, ponendo fine all’esistenza dell’insurrezione armata in Colombia a partire dal dialogo politico». Non senza smantellare le organizzazioni legate al narcotraffico e garantire «una riparazione integrale alle vittime».

NON È SFUGGITA AL RIGUARDO la profonda convergenza tra le promesse di Petro e le raccomandazioni espresse dal rapporto finale della Commissione della verità sul conflitto armato in Colombia – sulle sue verità occulte, sulle sue cause e sulle ragioni della sua sessantennale durata – guidata da padre Francisco de Roux. Un testo di 896 pagine presentato il 28 giugno, dopo quasi quattro anni di lavoro – e 30mila interviste a vittime, carnefici e altri attori del conflitto – in una cerimonia seguitissima svoltasi alla presenza dello stesso presidente eletto e della sua vice, accolti dai presenti con un’ovazione (assente, invece, Iván Duque, in visita in Portogallo).

Si trattava, per Petro, del primo intervento pubblico dal discorso pronunciato dopo la vittoria il 19 giugno, ed è bastato a misurare tutta l’abissale distanza dal clima che si respirava quattro anni fa. Ricordando «l’aspettativa di una pace grande» risvegliata dalla sua vittoria – un concetto da lui spesso utilizzato in opposizione alla «pace piccola» di Santos -, Petro è apparso consapevole della difficoltà della sfida: «Quanti processi di pace abbiamo portato avanti e quante volte siamo tornati alla violenza. Rompere definitivamente i cicli della violenza implica rompere i cicli della vendetta, trasformando lo spazio della verità in spazio di riconciliazione, nella possibilità del perdono sociale, di un’era di pace».

IL NUOVO CLIMA non poteva naturalmente sfuggire neppure alla Missione di verifica dell’Onu in Colombia, il cui capo, Carlos Ruiz Massieu, si è riunito il 26 giugno con il ministro degli Esteri designato da Petro, Álvaro Leyva, un politico conservatore che tuttavia ha svolto un ruolo di rilievo nei negoziati di pace con le Farc, in particolare come uno degli artefici della Giurisdizione speciale per la pace: l’organismo riconducibile a quel modello di giustizia restaurativa, già applicato con successo in Sudafrica, che pone l’accento sulla riabilitazione non solo della vittima ma anche del carnefice (a cui viene offerta l’occasione di riparare al danno commesso), con l’obiettivo di risanare per questa via un Paese lacerato dalla guerra, dalle divisioni e dall’odio.

E UN SEGNALE FORTE è venuto subito anche dall’Eln, l’Esercito di liberazione nazionale con cui il governo Duque aveva interrotto i colloqui nel gennaio del 2019. Già all’indomani della vittoria di Petro, il gruppo armato aveva infatti annunciato la propria disponibilità a riannodare il dialogo di pace, auspicando che il nuovo governo realizzi i cambiamenti necessari «per una Colombia di pace», a partire dall’«inclusione politica ed economica», da «un’economia sovrana senza depredazione» e da «una nuova dottrina di sicurezza e di diritti umani».

* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto



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