Rapporto Svimez 2022: per la crisi mezzo milione di nuovi poveri nel Mezzogiorno

Rapporto Svimez 2022: per la crisi mezzo milione di nuovi poveri nel Mezzogiorno

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Rapporto Svimez 2022: in tutta Italia 760 mila indigenti in più. Occupazione sempre più «precaria». E cresce il divario Nord-Sud. «Siamo l’unico paese europeo che non ha ancora recuperato i danni della crisi del 2007». E Meloni: “Sul reddito di cittadinanza avanti anche se costerà in termini elettorali. Ricostruiremo un’etica del lavoro, è una misura di buon senso”

 

Mentre il governo Meloni è impegnato nella caccia a 660 mila lavoratori poveri «occupabili» ai quali taglierà il «reddito di cittadinanza» dal prossimo agosto, il 49 esimo rapporto Svimez 2022 presentato ieri alla Camera ha stimato che la crisi indotta dal caro-energia e dall’inflazione più alta dal 1984 (11,9%) produrrà 500 mila nuovi poveri al Sud, 760 mila in tutto il paese. Queste persone non troveranno un lavoro nel 2023, anche perché il paese è avviato verso la recessione accompagnata da un’alta inflazione. Ciò non è bastato ieri alla presidente del Consiglio Meloni dal continuare a sostenere che il taglio al «reddito di cittadinanza» è «una misura di buon senso» con il quale intende «ricostruire una cultura e un’etica del lavoro».

È SUFFICIENTE leggere il rapporto Svimez per comprendere quanto infondato, e allucinogeno, sia il «buon senso» che spinge oggi a credere in un’«etica del lavoro» quando il lavoro manca. E se c’è è intermittente. Un dipendente su 4, sostiene Svimez, è precario. E tra il 2008 e il 2021 le retribuzioni lorde in termini reali si sono ridotte di circa 9 punti al Sud e di circa 3 al Nord. Il moralismo del lavoro imposto a chi vive questa realtà è stridente, ma si comprende se lo si intende come uno strumento per spingere 660 mila persone, un terzo sono «lavoratori poveri», a impoverirsi ancora di più. «Eticamente». Questa ostinazione peggiorerà una situazione già compromessa dal 2007. Da allora la povertà assoluta è raddoppiata. I bonus del governo «Conte 2» hanno evitato nel 2020 di aumentare la povertà in 450 mila famiglie in più (cioè più di un milione di persone), ma non hanno esteso la misura, privandola dei paletti che la rendono già ora iniqua. E non hanno impedito comunque l’aumento della povertà da 4,7 a 5,6 milioni di persone nel 2021 (dati Caritas di ottobre scorso).

IL GOVERNO dell’estrema destra post-fascista e leghista intende fare partire la «secessione dei ricchi» con l’«autonomia differenziata» entro il 2023. Ieri il direttore generale Svimez Luca Bianchi ha avvertito: «Concederla, senza prima dare piena attuazione al federalismo fiscale, significherebbe procedere nella direzione opposta, cristallizzando i divari tra cittadini e territori, senza sanare quella frattura che ha reso il paese più debole».

A QUESTA osservazione il ministro degli affari europei Raffaele Fitto ha risposto che le «due velocità» che contraddistinguono il Nord e il Sud non è determinata da «potenziale rischio» legato alla legge sull’«autonomia differenziata», ma «a ritardi strutturali ed errori compiuti in passato. Le differenze non sono dovute ai rischi della legge sull’autonomia futura, ma sono la fotografia di quanto accaduto fino a oggi».

IL RAPPORTO Svimez è interessante perché traccia la storia delle ultime crisi economiche, politiche e sociali che hanno investito l’Italia dal 2007 a oggi e offre elementi fondamentali per valutare le conseguenze devastanti che avranno le prime decisioni e gli orientamenti del governo Meloni nell’attuale economia di guerra. «Siamo l’unico paese europeo – ha detto il presidente Svimez Adriano Giannola – che non ha ancora recuperato i danni della crisi del 2007. Anche con la ripresa post-Covid, il Pil del Sud è inferiore del 13%. Nel 2026, quando terminerà il Pnrr, la situazione sarà identica: l’economia meridionale sarà ancora inferiore dell’8%. Con il Pnrr occorre tornare a programmare meglio di quanto fatto negli ultimi 20 anni, visto che ci sono centinaia di migliaia di euro a rischio».

UNA PROSPETTIVA confermata da Fitto secondo il quale «nel 2022 siamo partiti con 42 miliardi da spendere, temo una revisione al ribasso rispetto a 22 miliardi. Poi man mano che passeranno gli anni si stringerà ancora il tempo e ci sarà da interrogarsi e capire come affrontare questo tema. Anche perché molti interventi sono riproposizioni di interventi precedenti».

SVIMEZ ha analizzato questa situazione dal punto di vista macro-economico e di politica industriale. Negli ultimi quindici anni è avvenuta la perdita ulteriore di una base industriale. Sono elementi che impediscono, secondo Svimez, di «agganciare» la timida crescita che potrebbe seguire la recessione che si annuncia l’anno prossimo a causa dell’economia di guerra nella quale l’Italia è proiettata.

NEL 2023 il Prodotto interno lordo (Pil) del meridione rischia una contrazione di meno 0,4%, mentre quello del Centro-Nord, pur rimanendo positivo a +0,8%, potrebbe segnare un forte rallentamento rispetto al 2022. Nel 2024 il Pil dovrebbe tornare a crescere dell’1,5% a livello nazionale: +1,7% nel Centro-Nord e +0,9% al Sud. Un dato, quest’ultimo, sensibilmente inferiore a quello del resto del paese

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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