Siamo al « jour +2 » dall’approvazione della riforma delle pensioni voluta da Macron, tramite quella specie di fiducia al contrario prevista dall’articolo 49.3 della Costituzione, e sulla Concorde aleggia un’aria di acampada, o di nuit debout, il movimento che nel 2016 tenne per mesi la place de la République contro la riforma del lavoro di François Hollande.

«C’era bisogno di un luogo di raccolta», dice Benoît, operaio allo stabilimento Thales di Vélizy, nella banlieue sud-ovest di Parigi. Col giubbotto rosso della Cgt, sta un po’ in disparte, assieme ai colleghi. Sono venuti dopo il lavoro, come l’altro giorno, scandalizzati dalla mossa del governo Macron. Operaio nel settore chimico, ha incominciato a lavorare a 15 anni, ora ne ha 45. Prima del 2017, epoca delle prime riforme di Macron, aveva diritto alla pensione anticipata per il lavoro usurante. «È stata una delle prime cose che ha tolto Macron, il riconoscimento del lavoro pesante e rischioso che faccio tutti i giorni. In totale, ho fatto il conto, dovrò lavorare quattro anni di più. Se aggiungi i due anni supplementari di questa riforma, fanno sei anni in più», racconta.

L’atmosfera si scalda con l’affluire delle persone. Giovani vestiti di nero alimentano le fiamme e la barricata. Di qua con la spazzatura che ormai abbonda sui marciapiedi parigini, grazie allo sciopero degli spazzini che incrociano le braccia e bloccano i camion dal 7 marzo. Di là con le transenne che circondano i lavori di ristrutturazione dei monumenti della piazza. A Benoît e i suoi colleghi non dispiace. «Noi siamo del sindacato, non siamo qui per far casino – dice Cyril, anche lui operaio a Thales – Ma i nostri vecchi c’hanno insegnato che quando si può prendere un diritto, quando hai il rapporto di forza, te lo prendi». Ognuno col suo ruolo, e tutti contro Macron.

«È chiaro che siamo arrabbiati – dice Adèle, studentessa alla Sorbona – quello che ha fatto il governo farebbe infuriare persino un morto». È venuta con altri studenti mobilitati nel pomeriggio, dopo un’assemblea. Secondo lei «è necessario sorpassare il quadro sindacale. Macron capisce un unico linguaggio: la paura. E dobbiamo fargli paura, ora». D’altronde, l’intersindacale l’aveva detto e ripetuto nei giorni scorsi. Sia il segretario della Cgt Philippe Martinez che quello della più moderata Cfdt Laurent Berger avevano moltiplicato le dichiarazioni: noi teniamo i nostri fino a un certo punto, ma il governo gioca col fuoco. E fuoco è stato, letteralmente.

Tre giovani col k-way si avviano dalla lussuosa rue de Rivoli verso l’ingresso della place de la Concorde. Una berlina scintillante non è riuscita a schivare la folla, trovandosi impantanata nella piazza. Una dei tre passa le dita sulla carrozzeria, ridacchiando. Dentro, l’autista è in preda al panico. I giovani ridono. «Non ti preoccupare, noi odiamo solo la polizia!».
A Parigi come a Rennes, Nantes, Marsiglia, Lione e persino nei centri più piccoli, dal fatidico 16 marzo, quando scende la notte si accendono i fuochi: manifestazioni spontanee, cortei improvvisati, picchetti davanti alle prefetture per chiedere il rilascio degli arrestati. Giovedì, durante la prima notte di scontri, la polizia ha effettuato 217 arresti solo a Parigi, una cifra spropositata e che ricorda i momenti più duri dei gilet gialli. Ieri in serata cariche e lacrimogeni contro la piazza parigina.

La giornata, comunque, ha visto un’impennata di blocchi e picchetti. Lo sgombero manu militari dei depositi della spazzatura non ha avuto alcun effetto visibile. Anzi, le immagini dei lacrimogeni sui netturbini hanno fatto il giro del paese. I ferrovieri hanno ripreso le assemblee, in preparazione dello sciopero di giovedì prossimo, mentre i lavoratori delle raffinerie hanno ripreso i blocchi chiudendo gli accessi a Donges e all’impianto Total di Normandia, aggiungendosi agli impianti già fermi di Marsiglia e di Le Havre. E anche lì, sui picchetti, la notte accende i falò.

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto