Turchia. Erdogan rivince con la paura e la censura

Turchia. Erdogan rivince con la paura e la censura

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Due milioni di voti di scarto con Kiliçdaroglu. Congratulazioni globali, dagli Usa all’Ue. A Istanbul i suoi sostenitori chiedono di impiccare il leader curdo Demirtas. E lui attacca le persone Lgbt

 

Domenica scorsa si è concluso il secondo turno delle elezioni presidenziali In Turchia. Il vincitore del ballottaggio è l’attuale presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, con il 52,18% dei voti. Il suo avversario Kemal Kiliçdaroglu ha portato a casa il 47,82% dei consensi. L’affluenza è stata pari all’86%, tre punti percentuali in meno rispetto al primo turno, mentre ha registrato un record assoluto l’affluenza all’estero, pari al 55%.

QUANDO ERA QUASI certa la sconfitta, Kiliçdaroglu si è presentato davanti alle telecamere per un breve discorso in cui ha difeso il suo operato e promesso di continuare a lottare. Anche in quest’occasione, come in campagna elettorale, ha fatto riferimento alla presenza dei rifugiati: «Decidendo di candidarmi mi sono messo in gioco, non mi sarei potuto permettere di rimanere in silenzio di fronte al problema legato alla presenza di quei milioni di rifugiati che vi causano la perdita di lavoro». In quelle ore, Erdogan a Istanbul già festeggiava la vittoria nel quartiere di Uskudar sul tetto di un bus.
Rivolgendosi a una grande folla ha nuovamente attaccato le persone Lgbtqi+: «Avete visto che coloro che camminano con le persone Lgbt hanno perso e noi abbiamo vinto? Perché tra di noi queste persone non esistono». E ha colto l’occasione per ricordare le amministrative in arrivo: «Abbiamo una sfida importante nel 2024. Con il permesso del Signore il prossimo anno riprenderemo anche la città di Istanbul».

QUALCHE ORA DOPO Erdogan, insieme ai suoi alleati e a sua moglie, è apparso sul balcone del palazzo presidenziale (frutto di edilizia irregolare, ancora in piedi nonostante i pareri contrari di diversi tribunali). Davanti a centinaia di migliaia di persone, il «nuovo» presidente ha iniziato il discorso ringraziando tutti i leader mondiali che l’hanno contattato per congratularsi. Subito dopo ha iniziato a colpire i suoi avversari.
In primis Selahattin Demirtas, l’ex leader dell’Hdp, il partito della sinistra turca e curda, in carcere da quasi sette anni: «Kiliçdaroglu voleva scarcerare questo terrorista. Finché ci sono io non sarà mai libero». In quel momento la folla ha iniziato a chiedere l’«impiccagione» di Demirtas, richiesta rimasta senza riscontri del presidente. Come fa da tempo, ha accusato le opposizioni di collaborazione con le organizzazioni «terroristiche» e i paesi stranieri che «non vedono l’ora di far crollare la stabilità economica e politica della Turchia». In cima della lista dei suoi “terroristi” c’è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk).

VERSO LA FINE del suo discorso Erdogan ha promesso una nuova era per la Turchia: «Presto annunceremo un nuovo piano straordinario per rilanciare la nostra economia. In un anno finiremo la costruzione delle abitazioni provvisorie nelle zone colpite dal terremoto. In Tracia creeremo una zona di smistamento delle energie in collaborazione con la Russia». Infine non ha esitato a parlare del rientro dei rifugiati: «Stiamo lavorando con il Qatar per costruire abitazioni nel nord della Siria dove nell’arco di un anno saranno accompagnati un milione di cittadini siriani presenti in Turchia».

IN QUELLE ORE hanno iniziato a piovere i messaggi di congratulazioni da diversi angoli del mondo, che manifestavano la volontà di continuare a collaborare con Erdogan. Tra gli altri Orbán, Putin, Macron, von der Leyen, Trump, Biden, Michel ma anche Hamas e i Fratelli musulmani. L’unica voce istituzionale controcorrente è stata Kati Piri, ex relatrice del Parlamento europeo sulla Turchia, che ha twittato: «La mia domanda a tutti i leader che si congratulano in queste ore con Erdogan: “Qual è il vostro messaggio a quei 25 milioni di persone che hanno votato per il ripristino della democrazia e dello stato di diritto?”».
Senz’altro Erdogan è uscito vittorioso dalle elezioni ma politicamente sconfitto se consideriamo che ha dovuto sottoporsi al ballottaggio e ha registrato un vantaggio di soli due milioni di voti. E ha dovuto usare metodi antidemocratici e aggressivi per portare a casa il risultato, ha iniettato paura nei suoi elettori in tv e in piazza dicendo che con l’eventuale vittoria delle opposizioni sarebbe arrivata una forte instabilità economica e sociale.

HA CAVALCATO l’onda populista mondiale parlando delle minacce alla famiglia tradizionale, all’identità nazionale e ai valori religiosi. Le sue numerose apparizioni in moschea, i discorsi violenti di svariati imam e le minacce di morte del suo alleato nazionalista Devlet Bahceli sono alcuni esempi.
Erdogan non ha esitato a usare prodotti audiovisivi falsi per calunniare il suo avversario. I media, le forze dell’ordine e tutti gli apparati del sistema burocratico erano al suo servizio. Con un’opposizione già incarcerata, come Demirtas, o minacciata, come il sindaco di Istanbul Imamoglu, la partita di Erdogan era ancora più facile. E l’opposizione si è coalizzata con mille difficoltà, aiutando nella sua vittoria.

ENTRO QUESTO venerdì dovrebbe essere comunicata la formazione del nuovo governo, il più di destra della storia della repubblica. Sul suo cammino diverse sfide economiche e politiche a casa e all’estero: l’eventuale chiusura del Partito democratico dei Popoli (Hdp), l’incarcerazione del sindaco di Istanbul, le amministrative del 2024, la profonda crisi economica, la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto e le relazioni delicate con Mosca, Damasco e Washington.
Tutto questo con una coalizione al governo che ha pochi parlamentari in più rispetto al blocco delle opposizioni e sotto la soglia necessaria per cambiare la Costituzione. Ci possiamo aspettare presto le elezioni anticipate?

* Fonte/autore: Murat Cinar, il manifesto



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