Multinazionali. Sorvegliare e produrre: Amazon multata in Francia

Multinazionali. Sorvegliare e produrre: Amazon multata in Francia

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Sanzione record per il gigante della vendita al dettaglio online. L’ha decisa la Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (Cnil) che parla di un “sistema di sorveglianza” dei dipendenti “eccessivamente intrusivo”. L’azienda farà ricorso ma le segnalazioni dei lavoratori sono per ora servite a modificare l’organizzazione algoritmica del lavoro. E al parlamento europeo di Bruxelles arrivano altre testimonianze di lavoratrici: “Siamo monitoriati e licenziati da un algoritmo”. Inchiesta sul toyotismo digitale, a partire da ciò che la stessa Amazon scrive di se stessa

 

Amazon Francia dovrà pagare oltre 32 milioni di euro, il 3% del fatturato, oltre 1,135 miliardi di euro nel 2021, per avere monitorato troppo da vicino i propri dipendenti. La sanzione è stata inferta  dalla Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (Cnil) ed è la più alta da quando Ikea Francia fu multata per un milione di euro dal tribunale di Versailles nel 2021. La motivazione riguardava sempre il sistema di sorveglianza dei lavoratori. Era stato rafforzato tra il 2009 e il 2012 e riguardava, in particolare il sindacato.

Ad Amazon tutto è iniziato da una serie di reclami da parte dei dipendenti e di articoli di stampa che la commissione ha deciso di esaminare la questione. Le ispezioni sono state effettuate alla fine del 2019. In quel momento Amazon aveva 6.200 dipendenti a tempo indeterminato e 21.582 lavoratori temporanei. La sorveglianza riguardava ampie fasce di entrambe le categorie e ha coinvolto un “elevato numero di persone”.

La sorveglianza è immanente al processo produttivo. Lo dimostra la stessa Commissione che ha descritto un lavoro dettato interamente da macchine e da pacchetti software, con pochissimo spazi di manovra residuali. Ciò aumenta il disagio tra chi lavora, ma anche lo stress di chi controlla. Ogni dipendente è dotato di uno scanner, registra in tempo reale i compito affidatigli. Preleva articoli dagli scaffali e li sposta all’imballaggio. Gli scanner registrano il ritmo di lavorazione dei pacchi, misurano la velocità con cui gli articoli vengono riposti e cronometrano ogni interruzione dell’attività. Tutto fluisce, è misurato, ovunque suoni e luci che guidano i comportamenti dei lavoratori-robot.

Il monitoraggio costante comporta l’elaborazione di una quantità molto elevata di dati, compresi molti dati personali in tempo reale. Questi vengono registrati e conservati per più di 31 giorni. Un periodo di tempo che la Commissione indipendente francese ritiene sia troppo alto.  In questione è il doppio uso di questi dati: servono a organizzare l’attività di magazzino, a aumentare la “produttività” dei singoli lavoratori, migliorare le prestazioni dei magazzini. Servono però a monitorare ogni singolo dipendente.

Gli scanner raccolgono un gran numero di indicatori, tre di questi sono stati dichiarati illegali dalla Commissione: c’è il “Stow Machine Gun” che registra il dipendente che scansione un articolo in meno di 1,25 secondi dopo la scansione dell’articolo precedente; c’è l’indicatore “Tempo di inattività” segnala quando un dipendente non ha scansionato nulla per dieci minuti o più; c’è l’indicatore “Latenza inferiore a dieci minuti” segnala quando non si scansiona nulla per un tempo compreso tra uno e dieci minuti.

Già la definizione scientifica di questa tempistica rende l’idea di cos’è la fabbrica algoritmica integrata. Per la Commissione dimostra anche l’eccessiva sorveglianza informatica del dipendente rispetto all’obiettivo perseguito dall’azienda”. In questo modo, si ritiene che i lavoratori siano costretti a giustificare ogni pausa, trovandosi messi in esame in tempo reale. Dunque, privati anche della minima libertà di cui dispongono.

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Strettamente sorvegliati

La reazione di Amazon è ancora più interessante. Al netto della contrarietà prevedibile alla multa subita, e l’annuncio del ricorso, ciò che conta è la descrizione del funzionamento degli indicatori incriminati. Vediamola.

“Per il controllo della qualità utilizziamo il “Stow Machine Gun” – sostiene Amazon – Il nostro obiettivo è garantire che ogni articolo sia ispezionato correttamente prima di essere messo in magazzino, per assicurare che i nostri clienti ricevano il prodotto ordinato nelle condizioni che si aspettano. Per questo motivo, questo indicatore consente al team di rilevare se gli articoli vengono messi in magazzino troppo velocemente. È importante che i dipendenti si prendano il tempo necessario per ispezionare correttamente ogni articolo prima di metterlo in magazzino e che lo facciano nel rispetto delle istruzioni di sicurezza, in particolare adottando le giuste posture. In risposta alle domande della CNIL, disattiveremo questo indicatore”.

“Idle Time” – continua Amazon – ci permette di identificare un guasto continuo e anomalo (cioè superiore a 10 minuti) nella nostra catena di fornitura e di porre rimedio alla situazione. Ciò permette ai nostri team di individuare i problemi che potrebbero mettere in pericolo le nostre operazioni o, soprattutto, la sicurezza dei nostri dipendenti, che rimane la nostra priorità assoluta. Nell’ambito delle modifiche proposte alla CNIL, estenderemo la soglia di attivazione di questo indicatore da 10 a 30 minuti”.

Non solo la replica dell’azienda conferma la contraddizione di fondo della sorveglianza – si sorveglia per la sicurezza dei lavoratori e per aumentare la loro produttività, dunque cresce l’alienazione. Qui c’è anche la dimostrazione che incalzare Amazon, anche con multe milionarie, serve a modificare le condizioni di lavoro.

Curiosando nell’organizzazione del lavoro, attraverso ciò che Amazon scrive di se stessa, scopriamo anche che oggi più di 100 mila robot lavorano nei magazzini di Amazon in tutto il mondo. La prima generazione di robot era alta 30 cm. L’obiettivo era creare una nuova generazione alta solo 23-25 cm. Molti centri di distribuzione hanno una superficie di oltre 90 mila metri quadri, l’equivalente di 28 stadi di calcio, quindi la gestione dello spazio è un vero problema. Un robot più compatto permetterebbe di risparmiare spazio per le scorte, di costruire magazzini più piccoli, di ridurre i tempi di spedizione e di abbassare i prezzi per i clienti.

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«Make Amazon Pay»: quando la protesta è globale

Gli ingegneri hanno così creato un robot di 20 centimetri, contenente la metà dei componenti, in grado di risparmiare lo spazio. Soprannominato Hercules, o H Drive, il nuovo robot può sollevare 567 chili, 227 kg in più del suo predecessore.Hercules è nato da un brevetto interno. Ed è servito a creare una leggenda a partire da un’altra attività importante svolta all’interno della fabbrica algoritmica: i lavoratori – gli ingegneri ma non solo – sono spinti a depositare le loro idee utili a migliorare i processi. Questione decisiva per Amazon è la creazione di brevetti. A tale scopo organizza corsi di formazione interni. La procedura di richiesta semplificata è disponibile per qualsiasi dipendente che voglia brevettare un’invenzione o un’idea. Amazon ha semplificato questo processo facendo approvare le invenzioni brevettabili da singoli individui piuttosto che da commissioni di revisione di alto livello. Per ogni domanda di brevetto, i dipendenti di Amazon ricevono un trofeo a forma di puzzle trasparente. Questi trofei appaiono anche virtualmente sull’elenco mondiale di Amazon. Il distintivo è riservato esclusivamente agli inventori. Una volta depositato il brevetto, la procedura può durare fino a due anni.

“Ho analizzato migliaia di brevetti di Amazon – ha raccontato a Il Manifesto Alessandro Delfanti che ha scritto un’inchiesta molto importante sul lavoro in Amazon: “Il magazzino” – Molti parlano del magazzino del futuro in cui il lavoro vivo sarà comunque presente. Il loro obiettivo è gestire i lavoratori come robot, rendere più efficiente l’interazione con le macchine, prevenire i conflitti. Eliminare il lavoro umano è impossibile in questo sistema”.

A proposito del lavoro regolato dagli algoritmi in Amazon. Ieri le cronache dal parlamento europeo hanno riportato la testimonianza di una lavoratrice polacca in un’audizione alla commissione lavoro. “Si viene licenziati dopo una sola settimana se l’algoritmo ci ritiene non sufficientemente produttivi” – ha raccontato Agnieska Mroz impiegata in un centro di smistamento – C’è un algoritmo nei magazzini di Amazon che calcola quanti pacchi vengono processati da ogni lavoratore e chi rimane sotto alla media viene licenziato”.

“La media viene calcolata mensilmente quindi più velocemente si lavora più si mettono in difficoltà i colleghi” ha spiegato la lavoratrice. “Se un lavoratore è troppo lento riceve una valutazione negativa, una nota inappellabile data dall’algoritmo che gestisce il personale”, ha aggiunto Agnieska Mroz.

In Germania, ha aggiunto la rappresentante della confederazione sindacale tedesca Ver.di Corinna Gross, “Amazon si rifiuta di concludere un contratto collettivo, rifiutandosi di sedersi al tavolo del negoziato”. Nell’aula mancavano i rappresentati del colosso americano. “Peccato un gruppo così grande avrebbe potuto trovare qualcuno – ha commentato il presidente della commissione Lavoro dell’Eurocamera, il liberale rumeno Dragos Pislaru – Abbiamo sentito che il confine tra vita privata e lavoro si assottiglia e la tecnologia rischia cosi di essere un modo di privare i lavoratori dei loro diritti”.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli , il manifesto



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