Nell’Anp, o in una parte di essa, si è fatta strada l’idea che la catastrofe di Gaza figlia dell’offensiva israeliana potrebbe servire a presentare il gruppo dirigente di Ramallah come un «ombrello» sotto il quale tenere insieme tutte le formazioni palestinesi, anche Hamas e le altre di opposizione, alla luce del riconoscimento internazionale di cui gode confermato in questi mesi di guerra dalle proposte fatte dall’Amministrazione Biden per il «day after». Hamas, si pensa ai vertici dell’Anp, «ha perduto Gaza», pertanto pur avendo conquistato ulteriori consensi e prestigio tra i palestinesi per la sua resistenza armata all’esercito israeliano, «sarà obbligato» a riconoscere il ruolo e l’immagine internazionale del governo di Ramallah se vorrà garantirsi la partecipazione alla gestione politica futura della Striscia. «La sopravvivenza di Hamas ai tentativi di Israele di sradicarlo da Gaza non significa che (il movimento islamico) sia passato dalla posizione di fazione importante a quella di leader della causa palestinese» afferma Nabil Amr, personaggio di spicco del partito Fatah – guidato prima da Yasser Arafat e poi da Abu Mazen – negli anni successivi alla firma degli Accordi di Oslo e ora opinionista per vari giornali arabi. «Non fa molta differenza se (Hamas) è all’apice della sua popolarità oppure no – aggiunge – non sarà un’alternativa a Fatah e all’Olp, ma un loro partner, né detterà la sua agenda ai palestinesi».

Dalle strade della Cisgiordania, anche dalla base di Fatah, arrivano sollecitazioni ben diverse rispetto alle manovre politiche dietro le quinte. «Con il genocidio in corso a Gaza l’unica cosa da fare è pensare al bene dei palestinesi e formare una leadership di tutti» ci dice Hassan A.H., militante della base di Fatah, «stiamo vivendo una tragedia e allo stesso siamo davanti a una opportunità, se Fatah, Hamas e tutti gli altri partiti sapranno coglierla torneremo ad essere un popolo unito. Dobbiamo proteggerci dalla violenza di Israele e trovare la strada per realizzare le nostre aspirazioni». Hassan sottolinea che la guerra a Gaza ha avuto riflessi pesanti in Cisgiordania, con migliaia di famiglie senza lavoro e alla fame. La disoccupazione è salita dal 13% al 29%. «L’Anp e Hamas devono tenere conto anche di questa situazione e non solo pensare a garantirsi il potere».

Per ora il governo di Ramallah punta a sopravvivere in qualche modo. In un tentativo velleitario di soddisfare l’intimazione Usa a «rivitalizzarsi» prima di governare Gaza, il primo ministro Mohammad Shtayyeh ha annunciato lunedì un programma di riforme. Prevede la nomina di nuovi governatori regionali, nuovi sistemi di reclutamento dei membri delle forze di sicurezza, maggiore libertà di stampa e la riforma del sistema sanitario. Queste riforme lasceranno la stessa leadership al potere mentre gli Usa vogliono volti e nomi nuovi ai vertici e l’ottantottenne Abu Mazen fuori dai giochi. Israele invece si immagina la «nuova Anp» come una milizia impegnata soltanto a dare la caccia ai militanti di Hamas. «L’Anp con una sola mossa per motivi diversi ha deluso gli Usa e il popolo palestinese», commenta l’analista Hamada Jaber, «quello che i palestinesi chiedono è una riforma profonda dell’Anp che passi attraverso libere elezioni e la formazione di una vera leadership nazionale. Difficilmente avverrà».

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto