Bimbo muore dopo due visite in ospedale

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NAPOLI – I primi malesseri sabato sera, nel piccolo container del campo rom di Giugliano, periferia Nord di Napoli. Nel fine settimana due inutili corse verso altrettanti ospedali che lo rimandano a casa. La morte ieri, durante l’ultima, disperata richiesta di aiuto nel terzo ospedale. Omar, un anno e un mese, si spegne tra le braccia del papà  dopo tre giorni di agonia e di via crucis da una struttura sanitaria all’altra. Nessuna diagnosi. Sarà  l’autopsia sul suo corpicino a dire la verità  su quanto accaduto, sull’eventuale omissione di soccorso. L’esame avverrà  appena saranno identificati i presunti responsabili e notificati gli avvisi di garanzia. La polizia del commissariato di Giugliano ha già  inviato gli atti alla Procura della Repubblica e la piccola salma è stata trasferita a Napoli. «Siamo rom, quindi possiamo morire così. Mio figlio stava malissimo, era evidente. Eppure ci hanno liquidato così, sono bastate due parole: “Sta benissimo, tornate a casa”. E invece stava per morire». Quanto accaduto è tutto nel breve, drammatico racconto del padre di Omar, Seido, che ora, nel campo Rom di Giugliano (in attesa di sgombero) si dispera e chiede di capire perché il bimbo è morto. È lui, con la moglie Draghiza, a ricostruire i fatti. L’incubo comincia sabato sera. «Omar stava malissimo, con dolori di pancia e fitte allo stomaco», ricorda tra le lacrime mamma Draghiza. Domenica, dal campo Rom, la corsa verso Aversa. Dove i medici visitano il piccolo. «Sta bene», dicono. Dunque Omar torna nel container. Lunedì la situazione si aggrava. Il bambino non apre gli occhi, vomita, suda. Ha la diarrea. Seconda corsa, questa volta verso l’ospedale di Pozzuoli. Ma la scena si ripete. E anche se Draghiza chiede ai medici di fare una lavanda gastrica, i medici hanno già  fatto la diagnosi: «È una banale influenza. Basta tenerlo al caldo e domani starà  meglio». Non servono le preghiere e le lacrime della mamma che implora i medici di fare qualcosa. Devono lasciare il pronto soccorso. Così la famiglia rom torna ancora una volta al campo, ma è l’inizio di una notte di paura. Il bimbo non si muove più. E martedì comincia la terza – e inutile – corsa verso un altro ospedale, il San Giuliano di Giugliano. Ma purtroppo Omar non verrà  visto vivo dai medici. Muore durante il tragitto, viene trasferito direttamente all’obitorio dove, in breve, si affollano parenti e amici per protestare contro i medici. Intanto parte il fax dall’ospedale per la Procura e il magistrato di turno dispone il sequestro della piccola salma e l’autopsia. Cosa ha ucciso Omar? Una malattia seria non diagnosticata? Oppure una banale influenza non curata? «Siamo stati trattati così perché siamo rom – accusa Seido – quando siamo arrivati in ospedale ci hanno trattato con sufficienza. Non hanno valutato bene la situazione. È colpa loro se il nostro bambino ora non è più con noi. Adesso voglio giustizia. Voglio che chi ha sbagliato paghi».


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