“Meglio sotto tutela che alla fame noi portoghesi stanchi di sacrifici”

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lisbona – «Siamo senza governo e senza un euro. Finiremo sotto la tutela del Fondo Monetario come la Grecia. Ma almeno mi sono evitato il Pec 4!» conclude la sua frase Martins, urlando. Sotto la Torre di Belem i bolidi del Rally del Portogallo hanno iniziato a far rombare i motori per la prima prova della corsa. A Bruxelles si sta decidendo il destino lusitano, con Jose Socrates, il primo ministro fresco di dimissioni, che continua a ripetere (più che altro a se stesso) che «il paese non ha nessun bisogno del salvataggio della Ue». Martins («giornata di sciopero») e migliaia di altri suoi concittadini sono scettici. E per oggi si sono assiepati qui, sulla riva del Tago sotto un cielo un po’ uggioso, per esorcizzare la crisi a colpi di curve in derapata e a festeggiare – chi si accontenta gode – lo scampato pericolo del Pec 4. Il troppo – dice Martins – è troppo. «Tutto è partito un anno fa – ricorda – La Grecia era in crisi, la speculazione martellava i nostri titoli di stato. E lì è iniziato l’incubo Pec». «Non possiamo permetterci di finire come Atene, ci ha detto il premier» – racconta Fernando Pacheco, cappellino Peugeot calcato in testa, nella pausa tra un’auto e l’altra – «Dobbiamo tirare la cinghia. E noi gli abbiamo creduto». Il leader socialista, in fondo, è l’uomo che tra il 2005 e il 2007 è riuscito con un’austerity lacrime e sangue a dimezzare il rapporto deficit/Pil. E quando 11 mesi fa ha varato il suo Programa de Estabilidade e Crescimiento, il primo (allora tutti immaginavano pure l’ultimo) dei famigerati Pec nessuno ha avuto niente da ridire. «Non che fossimo contenti – ammette Luiz in mezzo a decine di piccole uova di Pasqua colorate della sua Leitaria Brilhante, appena sotto la cattedrale della capitale – La legge tagliava dalla sera alla mattina il 5% agli stipendi dei dipendenti pubblici, aumentava l’Iva (per tutti), l’Irpef (per i più ricchi) e le tasse per le imprese e sulle transazioni finanziarie». Sacrifici accettabili, però, a fronte di obiettivi nobili: la riduzione del rapporto deficit/Pil dal 9,3% del 2009 al 4,6% nel 2011. E soprattutto, il dribbling al commissariamento di Bruxelles e Fmi. «Che dovevamo fare? Gli abbiamo dato credito – dice Martins – Siamo un paese piccolo ma orgoglioso!». Peccato che la medicina non abbia funzionato. Malgrado il dottor Socrates non abbia lesinato sulle dosi. A luglio, con la speculazione scatenata e l’euro alle corde, è arrivato il Pec 2, un’altra overdose di tagli. A novembre il Pec 3 («2 miliardi in meno per pensioni e sanità , il mio stipendio da insegnate ridotto di un altro 5%, l’Iva salita di altri due punti percentuali», dice Pacheco). E quando l’11 marzo Socrates, senza avvisare il presidente della repubblica Anibal Cavaco Silva e un’opposizione decisiva per il suo governo di minoranza, ha lanciato la quarta manovra (nuovi sacrifici per sanità  e pensioni e tagli ai sussidi di disoccupazione), è stato il patatrac. Il centrodestra guidato dal Psd del 46enne Pedro Passos Coelho ha rifiutato per la prima volta di appoggiare un Pec (i socialisti hanno 96 seggi sui 230 del Parlamento). Socrates – un appassionato di jogging e rock dal carattere non propriamente malleabile – si è visto silurare in aula il suo piano, sponsorizzatissimo da Bruxelles. E il Portogallo, d’improvviso, è tornato a essere il ventre molle dell’euro e dell’Europa. I numeri, in questo caso, sono pietre: i rendimenti sui titoli di stato a dieci anno sono schizzati al 7,9%, il 4,5% in più dei bund tedeschi. Un livello insostenibile per un paese che tra qui e il 15 giugno deve rifinanziare 9 miliardi di debito. L’aumento delle entrate fiscali garantito dai ritocchi a Iva e Irpef (+4,8) non è stato sufficiente a compensare l’aumento (+2,8%) delle spese. Socrates ha presentato le dimissioni e Lisbona è piombata in un limbo da cui nessuno, per ora, sa come uscire. La Ue ha già  messo sul piatto un piano di aiuti da 75 miliardi. Socrates ha ribadito «che non sono necessari». Peccato che il Pil sia calato nel 2010 dell’1,3% contro il +0,2% previsto dal governo e che il rapporto tra debito e Pil sia salito dal 63% del 2007 all’89%, una iattura, visto che a Lisbona pure l’indebitamento privato è altissimo. Che succederà  ora? Cavaco Silva incontrerà  oggi i leader politici. I bookmaker danno poche possibilità  a un governo di unità  nazionale. Tutti vogliono le elezioni che però al più presto potranno essere tenute a fine maggio. «Tempi troppo lunghi – dice Viriato Soromenho Marques, economista all’università  di Lisbona – Volenti o nolenti finiremo per bussare a Bruxelles e all’Fmi». «Fare previsioni sul futuro è difficile – dice Martins mentre l’autoparlante annuncia che la Ford del campione del mondo Mirko Hirvonen ha vinto la prima prova del rally di Portogallo – L’unica certezza è che la politica è lontana mille miglia dai cittadini, vittima dei suoi personalismi». All’angolo del Rossio, mentre spunta un timido sole al tramonto, il sedicente Professor Mamadu, lunghi capelli rossi e sguardo un po’ spiritato, distribuisce ai passanti il suo biglietto da visita: «Astrologo – Grande medium Vidente. Dotato di dono ereditario per la lettura del futuro. Pagamento (anche con carta di credito) solo a risultato ottenuto». Onesto, ma forse nemmeno lui è in grado di prevedere che ne sarà  del Portogallo (e dell’euro) tra qualche mese.


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