Parlamento in piazza

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Massima allerta anche al Quirinale, tentativi affannosi di riportare la tensione sotto il livello di guardia (le elezioni anticipate). Solo una mobilitazione continua può dare respiro e forza ai residui spazi di agibilità  di una politica oggi sprofondata nell’insulto contro una parlamentare in carrozzella, svilita dal turpiloquio contro il presidente della Camera per bocca del ministro della difesa, mentre quello della Giustizia, bugiardo alfiere della «riforma epocale» della giustizia, lanciava contro l’opposizione la tessera parlamentare, in dispregio di forma e sostanza. Tutto sulla ribalta di un parlamento che esplode perché la maggioranza non riesce a blindare il premier inseguito dai processi, unico fronte di guerra a togliergli il sonno. 
Nella bagarre di Montecitorio si specchia la guerra per bande di un potere senza partiti, organizzato per lobby, protagonista di una lotta intestina esaltata dalla debolezza di un leader ricattabile. Parla da sola la scena dei ministri che lasciano di corsa la riunione di palazzo Chigi, mollando gli impegni su guerra e emergenza profughi, per andare ad aggiungere il loro voto alla traballante maggioranza nel tentativo di scongiurare lo sfilacciamento dei tempi di approvazione del processo breve.
Nemmeno la più sfrenata partigianeria riesce a mimetizzare le divisioni e la confusione del campo berlusconiano. Ne offriva vistosa dimostrazione un giornale amico del centrodestra (Libero) che sparava il solito titolo contro il presidente Fini accusato di aver «perso la testa» contro il ministro della difesa, salvo dedicare una circostanziata cronaca su «Ignazio che spacca il Pdl, cento firme di azzurri: dimettiti».
Alla fine l’esame della legge ad personam è stato rinviato alla prossima settimana, su richiesta della maggioranza, con il voto delle opposizioni. L’armata brancaleone del Cavaliere può tirare un sospiro di sollievo, usare il tempo per serrare i ranghi e appagare gli appetiti (sono imminenti le nomine per le società  pubbliche, la Rai e la rifinitura del rimpasto). Cosa abbia da guadagnare l’opposizione non si capisce.
Questi colpi alla credibilità  e alla decenza della politica trovano il paese nel pieno di una guerra. I ministri annaspano sul piano internazionale e sono travolti dall’emergenza dei migranti. Frattini e Maroni non decidono nulla. Le tendopoli sono la misura-tampone per contenere la tempesta. Ma per evitare che la campagna elettorale delle amministrative sia dominata dalle rivolte dei sindaci bisogna fermare gli sbarchi, Berlusconi deve tornare in trasferta e dopo Lampedusa gli tocca Tunisi. Con la mediazione dell’amico Ben Ammar e l’aiuto di Nessma-tv, Il premier tenta di spegnere l’incendio pompando denaro e promesse. Ma il Mediterraneo sembra troppo grande anche per lui.


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