Torna a scuola Jamila, la pachistana troppo bella

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MILANO – Tornerà  a scuola domani. Tornerà  tra i compagni che aiutava in matematica e inglese, e che da giorni chiedevano il motivo della sua assenza. E la sua bellezza «arcana, magnetica, indescrivibile», che sembra uscita dalle pagine delle Mille e una notte, non diventerà  una condanna alla segregazione, come vorrebbero i parenti. Jamila, come la ragazza pakistana di 19 anni è stata chiamata dopo la denuncia dell’insegnante di lettere del Professionale di Brescia, era assente da scuola da una settimana. «Temo di fare la fine di Hina», aveva detto alla docente, ricordando il caso della ragazza pakistana uccisa dal padre cinque anni fa. Confessando che i suoi tre fratelli – il padre è morto anni fa in un incidente sul lavoro – la costringevano a stare a casa per paura che la sua bellezza potesse provocare attenzioni esagerate da parte di altri ragazzi. Mentre lei, dicevano i fratelli, doveva sposarsi con un connazionale. Un caso esploso dopo la lettera dell’insegnante a BresciaOggi. «Ha interrotto la frequenza a causa del volere dei familiari, ai quali sarebbe venuto all’orecchio di sguardi, innamoramenti, dediche d’affetto inconcepibili per l’onore dei parenti, i quali l’avrebbero promessa in sposa a un individuo mai visto nella sua lontana terra natia». Poi la mediazione della questura e del console del Pakistan, Syed Muhammad Farook, che hanno incontrato i familiari. «L’amore è un diritto – ha spiegato il console ai connazionali – l’Islam e il Corano proteggono i diritti umani, prevedono la libertà  di scelta per il futuro». La ragazza ora potrà  tornare a scuola. E avrà  il diritto di scegliere l’uomo a cui legarsi. «Fondamentale – ha detto il console – capire che non siamo in presenza di forme di integralismo religioso», ma semplicemente di «differenze culturali, a cui viene dato un risalto eccessivo. Bisogna operare con la mediazione culturale». Il capo della squadra mobile di Brescia, Riccardo Tumminia, ha spiegato che non sono emerse responsabilità  penali per i familiari. «La ragazza non era chiusa a chiave, anche se non era libera di uscire, frequentare la scuola e incontrare gli amici perché così le era stato ordinato di fare dai fratelli». Nella famiglia, dopo la scomparsa del padre, erano loro ad aver assunto un ruolo sempre più rilevante, con la madre relegata ai margini delle decisioni, che non conosce nemmeno la lingua italiana. La questura ha confermato che la «preoccupazione dei fratelli era causata dalla bellezza della sorella e dal fastidio che dava loro l’attenzione dei ragazzi verso di lei». Per la Cgil si tratta di un caso di «arretratezza culturale, isolamento sociale, problemi economici». Ora anche il governo si occuperà  della vicenda, con il sottosegretario per l’attuazione del programma del Governo Daniela Santanchè. «Vigileremo per evitare che si possano ripetere altri casi Hina – ha detto il sottosegretario – il console pakistano è stato molto bravo a mediare tra la famiglia e i bisogni di una ragazza che vive in Italia e ha il diritto di scegliere autonomamente il proprio futuro».


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