Manifesti Br, Lassini lascia e si scusa “Ma ho ripetuto le parole del premier”

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MILANO – «Illustrissimo presidente Napolitano, le parole da lei espresse in merito alla vicenda dei manifesti mi hanno profondamente toccato». Comincia così la lettera con cui Roberto Lassini, presidente dell’associazione che firma i poster “Via le Br dalle procure”, si scusa con «con tutte le vittime del terrorismo». E annuncia di avere consegnato al coordinatore del Pdl lombardo Mario Mantovani, suo padrino politico, «dimissioni irrevocabili dalla lista del partito alle Comunali». In realtà , l’avvocato 45enne resta in corsa per il Pdl alle elezioni di maggio. Il Viminale ha infatti chiarito che è impossibile eliminare un candidato delle liste, anche se è lui a chiederlo. Lassini potrebbe quindi prendere voti a sufficienza per essere eletto in Consiglio comunale. Ed è chiaro che non ci sta a fare da capro espiatorio: «Quello slogan riprendeva le parole del premier», ha ripetuto ieri dopo avere annunciato il proprio «passo indietro». A chiedere a Lassini di ritirarsi dalle elezioni, oltre alle opposizioni, era stata il sindaco Letizia Moratti, con un aut aut: «Io e Lassini siamo incompatibili», ha detto. Come dire: o se ne va lui o me ne vado io. Una linea di fermezza decisa dopo che Napolitano ha definito «ignobili» i manifesti, parole poi riprese dal presidente del Senato, Renato Schifani. Mantovani, che da sabato scorso chiama Berlusconi ogni sera per sapere come comportarsi, ha resistito fino a ieri prima di gettare la spugna. E le pubbliche scuse imposte all’avvocato di Turbigo non sciolgono le molte ambiguità . A chi gli chiede se sia disposto a firmare un impegno a dimettersi in caso sia eletto, Lassini risponde: «Non scherziamo». Più velenosa Tiziana Maiolo, ex assessore della giunta Moratti e oggi nemica giurata del sindaco, che segue Lassini ovunque e risponde per lui al telefono: «Fossi in lui mi farei eleggere, poi vediamo», dice. Il caso resta aperto e la Lega, che alle Comunali spera di fare il pieno, affonda il colpo: «Le parole del presidente Napolitano per noi sono musica per le orecchie, i toni e lo scontro del dibattito sulla giustizia vanno abbassati», dice il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni. Ad acuire le difficoltà  all’interno del Pdl è il fatto che, con Lassini, sia indagato per «vilipendio all’ordine giudiziario» anche Giacomo Di Capua, capo della segreteria di Mantovani, che avrebbe commissionato la campagna di affissioni. «Ho appreso di essere indagato dalla stampa», si limita a dire il braccio destro del coordinatore, che ieri avrebbe presentato le dimissioni. Il terzo iscritto nel registro degli indagati, nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Armando Spataro, è lo stampatore dei manifesti. Qualunque sarà  l’esito delle indagini, è evidente che le responsabilità  arrivano al cuore del partito. «Mi hanno messo in mezzo, hanno appeso i manifesti quando ero già  candidato, mi sono preso responsabilità  per cose che non ho fatto», sbottava ieri mattina Lassini, prima che un incontro con Mantovani lo convincesse ad annunciare la sua rinuncia alla campagna elettorale. Lassini ora annuncia di voler «sostenere Silvio Berlusconi in tutti i modi». Si definisce «non ricco, e anzi indebitato», ma ha a disposizione uno staff di almeno quattro persone, e cinque locali in centro sulla cui porta ancora si legge «comitato elettorale». Dalla sua ha avuto finora il Giornale della famiglia Berlusconi, a cui ha rilasciato domenica scorsa l’intervista-confessione in cui si è assunto la responsabilità  delle affissioni anti-pm. Secondo gli inquirenti, quell’intervista potrebbe anche essere l’unico legame fra Lassini e i manifesti.


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