Marchionne, sfida sull’ex Bertone “Troppe cause, meglio l’America”

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TORINO – Soddisfatto per i conti della trimestrale, preoccupato per lo scontro con i sindacati alla ex Bertone (fino a minacciare il trasferimento all’estero della produzione), fiducioso nella possibilità  di centrare l’obiettivo del 51 per cento di Chrysler entro la fine del 2011. Sergio Marchionne si presenta così agli analisti al termine del cda che ha approvato i conti del primo trimestre. Per la prima uscita pubblica della nuova Fiat dopo lo spin off si concede il vezzo di una citazione musicale: «Steady as she goes», insieme con lei, brano di un gruppo di Detroit. Per andare «con lei», cioè con la Chrysler, la strada è ancora lunga. Marchionne confessa agli analisti che «sarebbe soddisfacente raggiungere il 51 per cento», ma aggiunge che la Fiat ha anche un’opzione «sul 6 per cento» che in quel caso rimarrebbe al Tesoro americano. Così a fine anno Fiat potrebbe salire anche al 57 per cento a Detroit magari sperando in una plusvalenza quando la quotazione in borsa farà  salire il valore del titolo. Conferma anche che «entro fine anno», Torino riuscirà  ad assembleare in Usa l’auto ecologica in grado di far ottenere a Marchionne l’ultimo pacchetto del 5 per cento di azioni derivanti dallo scambio tecnologico. Naturalmente tutto è legato al successo della trattativa attualmente in corso con le banche per rifinanziare il debito con Obama e acquistare il 16 per cento di azioni necessarie a conquistare la maggioranza della società . Ma la liquidità  non sembra la principale preoccupazione dell’ad né al di qua né al di là  dell’Atlantico. In Italia i conti vanno bene e la quotazione di Ferrari, che molti ipotizzavano imminente per far cassa, «è una possibilità  che ci teniamo» ma «al momento non abbiamo la necessità  di liquidi». Piuttosto preoccupano Marchionne le nubi sul rapporto con il sindacato. «La scelta della Fiom di ricorrere in tribunale potrebbe spingerci a trasferire all’estero l’investimento su Maserati», dice l’ad con una frase destinata a pesare sul referendum del 2 e 3 maggio prossimo quando la ex Bertone, fabbrica a maggioranza Fiom, dovrà  decidere se accettare le condizioni poste dalla Fiat o perdere la commessa da 550 milioni per la produzione di un nuovo modello della Maserati. «Noi non possiamo inseguire per vent’anni le cause in tribunale», sostiene Marchionne aggiungendo che «sono confermati gli investimenti già  decisi a Pomigliano e Mirafiori», mentre sul resto del programma di Fabbrica Italia «dopo la scelta della Fiom, tutto è incerto. Purtroppo – conclude – noi non possiamo sceglierci nelle fabbriche le maggioranze che vogliamo». Frasi destinate inevitabilmente a riaprire la polemica con la Fiom: «Abbiamo sempre detto che a nostro parere gli accordi imposti da Marchionne vanno contro le leggi italiane – risponde Giorgio Airaudo – ed è logico che chiediamo a un tribunale di veder riconosciuta la nostra posizione. Sono cose che accadono in tutte le democrazie del mondo. Marchionne provi ad andare in America a dire: o il tribunale mi da ragione o chiudo la fabbrica. E poi vediamo che cosa succede».


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