L’asse del Nord sull’abisso di Milano

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Ora, però, lo schema appare modificato. Come se quell’asse del Nord fosse attraversato da una invisibile fessura che rende meno stabile l’edificio dell’attuale coalizione. E meno affidabile la prospettiva delle future alleanze. Ne è una prova la distanza che Bossi ieri ha voluto marcare dal Cavaliere dopo lo stop impresso dal presidente Napolitano alla procedura con cui ha preso corpo il rimpasto di governo. Aver deciso, dopo 24 ore di riflessione, che il richiamo del capo dello Stato è condivisibile, non costituisce un semplice ripensamento. Si tratta di una scelta di campo nel braccio di ferro che da tempo il premier impegna con il Quirinale. Bossi ha bisogno di mantenere intatto il feeling costruito negli ultimi anni con il Colle. Sa che l’intero impianto federalista può essere metabolizzato nel Paese solo con il consenso del presidente della Repubblica. Ma soprattutto sa che le prossime amministrative rappresentano un test decisivo per la tenuta della coalizione e per la compattezza del suo partito. La base leghista non sopporta più gli strappi del Cavaliere. Per la prima volta, lo stesso leader del Carroccio è stato messo sul banco degli imputati dagli agguerriti ascoltatori di Radio Padania. E il loro «capo» lo sa.
Per questo deve arrangiarsi in un difficile equilibrismo in cui contemperare le esigenze governative e le pretese dei suoi militanti. Un equilibrismo che rischia di essere sbilanciato proprio dal prossimo voto di Milano. Perché l’eventuale sconfitta di Letizia Moratti nel capoluogo lombardo, renderebbe impossibile per il vertice leghista controllare e trattenere l’insoddisfazione del «Nord leghista». Per il Senatur, diventerebbe sempre più arduo impedire l’allargamento della fessura. Anche perché le garanzie per il futuro offerte di recente da Berlusconi, l’indicazione di un «delfinato» per Tremonti – il più leghista dei pidiellini – d’un tratto scadrebbero. E tutti – a partire dai lumbard – inizierebbero una corsa individuale verso il prossimo voto politico. Anche anticipandolo rispetto alla scadenza naturale del 2013.
Del resto, le amministrative possono incidere sensibilmente nella «verifica» chiesta da Napolitano in Parlamento. Il richiamo del Pdl alla «costituzione materiale» non convince il Quirinale. Che si affida alla «Costituzione formale» e alle leggi dello Stato (a partire dalla legge 400 che impone al presidente del Consiglio di «comunicare alle Camere la composizione del governo e ogni mutamento in essa intervenuto»). Ma un eventuale risultato negativo per il centrodestra, come si concilierebbe proprio con la «costituzione materiale» invocata dagli uomini del Cavaliere? Quella «costituzione materiale» diventerebbe un vero e proprio boomerang per Palazzo Chigi. Non è un caso che ieri nel suo comizio milanese il premier abbia evitato lo scontro con Napolitano. E ha virato verso il solito ritornello anti-magistrati. Rispolverando una formula – l’equivalenza pm-cancro – già  utilizzata nel giugno del 2008. Un refrain ripescato all’occorrenza per una campagna elettorale decisiva per il futuro del governo.


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