“È un colpo al cuore vuol dire che chi lavora non merita rispetto”

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TORINO – Applausi. Applausi che filtrano dalle porte chiuse della Fiera di Bergamo, dall’assemblea di Confindustria. Applausi per Herald Espenhanh, l’ad della Thyssen condannato dal tribunale di Torino per omicidio volontario, per la morte di sette operai nell’acciaieria della morte. Antonio Boccuzzi è l’unico sopravvissuto a quella tragedia.

Applausi. Boccuzzi, come ha reagito?
«Quando l’ho saputo ho avuto un tuffo al cuore. Mi sono venuti in mente altri applausi. Quelli del giorno dei funerali, quando le bare uscivano sul sagrato del Duomo di Torino e la gente chiamava eroi i miei compagni morti. E poi gli applausi della sera della sentenza, gli applausi delle mogli e delle vedove e di tutti coloro che pensavano che in quel tribunale si fosse fatta giustizia».
Qual è la differenza?
«A differenza degli altri, gli applausi degli industriali, per fortuna, non li ho ascoltati. Li ho letti sui giornali, li ho sentiti raccontare dai tg. A me non sono sembrati applausi. Non era una scena umana, di quelle che uno può capire, come le altre due. Era un applauso che sembrava un fischio, un fischio alla giustizia, un fischio all’idea che chi lavora debba essere rispettato perché è una persona. Mi sono venuti in mente due paradossi».
Quali paradossi?
«Il primo è che se Espenhahn fosse stato condannato per omicidio colposo, come capita nei processi per incidenti sul lavoro, non sarebbe stato applaudito. Lo applaudono perché è stato condannato per omicidio volontario. Il secondo paradosso è che proprio Confindustria, l’associazione che espelle chi paga il pizzo, si mette ad applaudire chi è stato riconosciuto responsabile di una tragedia così grande. C’è un grande contrasto».
Per lei Espenhahn è un assassino?
«Io preferisco non mettermi ad appiccicare aggettivi alle persone. C’è una sentenza che lo dice e capisco che i familiari delle vittime utilizzino quell’espressione. Per me lui è solo la punta dell’iceberg. E gli applausi a lui sono il sintomo di un modo di pensare, non un episodio isolato. Perché prima degli applausi di Bergamo, ci sono state le dichiarazioni di autorevoli esponenti del mondo industriale che esprimevano lo stesso concetto: se non chiudete gli occhi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, scordatevi che arrivino investimenti in Italia. Qui si investe solo a condizione che ci si dimentichi di leggi che in Germania vanno rigidamente rispettate».
Di fronte a quegli applausi non pensa che la politica si sia distratta?
«Non so se ci sia stata sottovalutazione. Io guardo alle cose concrete. Due anni fa in Parlamento c’era chi proponeva di togliere la responsabilità  della sicurezza ai vertici delle aziende se si trovava qualcuno dei loro sottoposti che veniva riconosciuto colpevole. Come se gli amministratori delegati fossero una casta a parte. Per fortuna siamo riusciti a bloccare la legge».

 


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