“Sviluppo e nuovi posti di lavoro” la ricetta del superministro Passera

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MILANO – «Puntare su crescita sostenibile e creazione di posti di lavoro, dimostrare ai mercati che l’Italia è molto di più di quello che molti pensano». Le prime parole pronunciate dal neo ministro per lo Sviluppo economico e le Infrastrutture Corrado Passera, appena dopo il giuramento al Quirinale, assomigliano a un distillato di programma economico frutto di idee e discorsi avviati da almeno un paio d’anni. Il Passera banchiere di Intesa Sanpaolo, infatti, non aveva fatto mistero in più di un’occasione del suo disappunto verso l’ex ministro Giulio Tremonti, che non riusciva, o non voleva, coniugare la tenuta dei conti pubblici con provvedimenti di crescita per il Paese. Invece, secondo lui, le due spinte sono conciliabili, eccome, e ora avrà  la possibilità  di dimostrarlo. In un’intervista al Wall Street Journal del 7 giugno 2010, Passera per primo sostenne che per l’Italia è necessario un investimento di 250 miliardi nei prossimi cinque anni per strade, aeroporti e reti di telecomunicazioni. E all’intervistatore che chiedeva dove avrebbe preso il vil denaro, il neo ministro rispondeva: «La maggior parte dei fondi può venire da investitori privati se il governo appoggia l’investimento con garanzie pubbliche». Così ben si capisce perché Passera abbia puntato i piedi per ottenere un ministero più allargato del solo Sviluppo, e che alla fine Pierferdinando Casini l’abbia accontentato prima accantonando Gian Maria Gros Pietro e poi spostando Piero Gnudi allo Sport e Turismo.
Se la scelta di Passera è azzeccata si vedrà  ben presto, visto che all’uomo non mancano certo cipiglio e determinazione. La prima mossa l’ha già  fatta: si porterà  Mario Ciaccia dalla Biis, il suo uomo delle infrastrutture, come capo di gabinetto. Comasco, 57 anni a fine dicembre, laureato alla Bocconi e con un master alla Warthon School di Filadelfia, Passera di strada ne ha già  fatta parecchia. Consulente alla McKynsey e poco dopo assistente personale di Carlo De Benedetti, sotto l’ala protettiva dell’Ingegnere diventa direttore generale della Cir, poi della Mondadori e del gruppo Espresso, quindi amministratore delegato dell’Olivetti. Fino al 1996 quando inizia l’esperienza in banca chiamato da Giovanni Bazoli a dirigere il Banco Ambroveneto. Nel 1998 si fa da parte al momento della fusione con la Cariplo, poiché gli equilibri interni del gruppo suggeriscono di lasciar spazio a Carlo Salvatori. Ma quando sta per partire con la sua banca online ci pensano Prodi e Ciampi a chiamarlo a Roma per risollevare un colosso impanato come le Poste. Agli attenti osservatori non è mai sfuggito il grande tempismo di Passera nello scegliere o accettare posti di lavoro in cui la situazione è ridotta ai minimi termini. Dalle Poste è uscito nel 2002 non appena l’azienda ha raggiunto il primo utile di bilancio e pronta per lo sbarco in Borsa, peraltro mai avvenuto, approdando a IntesaBci dove una tormentata gestione italo-francese aveva portato la banca a uscire con le ossa rotta dal crollo della new economy. È in questo modo che si guadagna la fama di ristrutturatore, cui si aggiungono indubbie capacità  di comando e un notevole desiderio di potere. Nella cerchia di suoi estimatori si dice che coltiva il segreto desiderio di mettere a disposizione di tutti la sua esperienza maturata sia nel privato che nel pubblico. I suoi detrattori, invece, ricordano i passi falsi degli immobili venduti al duo Bisignani-Farina, e gli improvvidi e generosi finanziamenti a personaggi poi finiti nella polvere, come l’immobiliarista Luigi Zunino e il finanziere Romain Zaleski. Cattolico di sinistra, attento ai mutamenti dell’economia globale da cui ha per tempo preso le distanze per la più solida economia reale, ha destato sorpresa la sponda offerta a Berlusconi nel formare una cordata di imprenditori italiani in grado di rilanciare l’Alitalia. Un’operazione da patrioti che ha permesso di salvare 11 mila posti di lavoro ma anche di scaricare sul pubblico tre miliardi di debiti. Ora il grande salto in politica, nel momento più nero dell’economia italiana, con un ministero cruciale per il successo del governo Monti. Se riuscirà  nell’impresa in banca non ci tornerà  più e si autocandiderà  nel terzo polo


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