Lavori in corso, la sinistra divisa prova a riparlarsi

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«Non ci arrendiamo alla frammentazione, vogliamo riprendere un filo comune di discussione», spiega Claudio Grassi, dell’area Essere comunisti, fra gli organizzatori dell’iniziativa e a capo dell’organizzazione Prc. Si parte dai risultati del voto, che qualche carta in tavola potrebbero cambiarla. Fds prende in media del 2,7 per cento (alle provinciali il 4), performance non smagliante ma meglio di quel niente che le attribuivano i sondaggi; Sel si attesta fra il 4 e il 5, bel risultato ma al di sotto degli entusiasmi della vigilia. 
«Sono risultati positivi, sia per la botta presa da Pdl e Lega, sia perché il vero ‘terzo polo’ è quello che sta a sinistra del Pd: Sel, Idv e Federazione. Un patrimonio rilevante». Ma in molte delle città  questi voti non si sono sommati: a Torino Sel ha sostenuto Fassino e Fds è andata sola (cavandone un magro 1,5 per cento), a Napoli Fds ha sostenuto De Magistris e Sel il candidato del Pd. «Abbiamo pagato il nostro non voler fare alleanze a prescindere dai contenuti. A Torino, non potevamo stare con un ‘marchionnista’». Ed è qui il punto, segnala Grassi: «L’unità  che possiamo ancora cercare è sui contenuti. Come accadrà  ai referendum il 12 e 13 giugno». Non a caso al confronto non ci sono segretari di partito, ma uomini e donne (poche) impegnati sui temi su cui la convergenza è già  nei fatti: beni comuni, lavoro, giustizia giusta. «L’esito del voto ci consegna una riflessione», ragiona Cesare Salvi, nella Fds coté Socialismo 2000. «Ai compagni di Sel chiedo: puntate tutto su un leader, o volete far pesare di più le proposte comuni? E ai miei compagni di Fds però dico: il tema del prossimo governo è nei fatti. Vogliamo guadagnare qualche punto programmatico o restiamo prigionieri dell’illusione delle mani libere?». «Oggi il Pd deve archiviare il mito dell’autosufficienza», ragiona Alfonso Gianni, Sel. «Ma il ‘big bang’ non è avvenuto. E la sinistra resta intorno a quel 7/8 per cento che era la Rifondazione di qualche anno fa». Ma sono voti che si possono sommare? «Sommarsi no, sarei contrario all’idea di un ‘polo della sinistra radicale’. Ma è indispensabile costruire una sinistra radicale dentro una nuova coalizione. Che se no sarà  fatalmente una coalizione a predominanza moderata». Ma qui piombiamo sulla sloganistica ‘democratica’. «Mai più Unione», dice Bersani. E lo dice anche Vendola. «Non chiamiamola Unione. Ma non riesco a trovare niente di meglio dell’idea classica del centrosinistra. Dove vedo, oltre alle energie della società  e dell’associazionismo, il Pd, l’Idv, Sel, Fds e verdi. E ciò che di ragionevole c’è nel Movimento 5 stelle». 
All’idea di un qualche centrosinistra, insomma, non sfugge, anche al di là  del nodo della partecipazione al governo. «Del resto sul rapporto con il Pd ci siamo divisi», spiega Franco Giordano, segretario Prc fino all’ultima scissione del 2009. «Ovunque in Italia domenica ha vinto il rinnovamento, in ogni sua forma. Questo ci dice che dobbiamo superare la vecchia dialettica fra riformismo e radicalismo». Accettando, per dire, il ‘marchionnismo’ di Fassino? «Rovescio la domanda: per la Fiat possiamo contare di più dentro quel governo, o fuori con l’1,5?».


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12 OTTOBRE
Può succedere, in un paese come il nostro, che nell’anno definito dal Cnel come il «peggiore della storia dell’economia italiana nel secondo dopoguerra»; con la disoccupazione giovanile a livelli record e così pure l’incremento dei rapporti di lavoro precari; con importanti aziende come Telecom e Alitalia un tempo privatizzate oggi prede del capitale finanziario d’oltralpe per pochi milioni di euro; può succedere che si apra una crisi di governo che prelude a una crisi istituzionale vera e propria per mancanza di vie d’uscita all’orizzonte.

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