Africa Orientale, emergenza fame

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Per Oxfam è una delle quattro “zone calde” nella mappa dell’insicurezza alimentare mondiale ma la crisi che ha colpito l’Africa Orientale nelle ultime settimane ha proporzioni spaventose. In italiano si direbbe molto semplicemente mancanza di cibo, i report delle Nazioni Unite la chiamano food security crisis ma il concetto non cambia. E da New York sottolineano che si tratta della peggiore crisi di sempre. Quasi nove milioni di persone dipendono dalla distribuzione di razioni alimentari da parte delle organizzazioni umanitarie ma il loro numero potrebbe salire presto a 20 milioni.

Molteplici le cause. Innanzitutto, le basse precipitazioni registrate a dicembre dell’anno scorso, che hanno permesso raccolti scarsi. Si aggiunga la contrazione progressiva delle aree coltivabili, a causa del land grabbing, e la spirale inflazionistica che si è abbattuta sul mercato dei prodotti petroliferi e di quelli alimentari, solo in parte spiegata dalla povertà  dei raccolti, e il quadro è completo.

L’allarme lo aveva lanciato già  all’inizio del 2011 il Famine Early Warning System Network, con riferimento in particolare alle aree di Kenya, Somalia ed Etiopia. La cronica mancanza di fondi denunciata dalle organizzazioni che ora si trovano a gestire l’emergenza, stanno aggravando la situazione. Al World Food Programme delle Nazioni Unite manca il 70 per cento della cifra che occorre per fronteggiare la crisi alimentare in Somalia per i mesi compresi tra maggio e ottobre, un buco da 53 milioni di dollari. In Kenya mancano 47 milioni di dollari, il 50 per cento della somma che occorre per accompagnare fuori dall’emergenza, in sei mesi, un milione e 700 mila persone.

Con i suoi 4,5 milioni di persone a rischio denutrizione, è l’Etiopia il fronte principale della crisi, in particolare le regione meridionali e quelle del sud-est, in corrispondenza della fascia desertica dell’Ogaden. Ma il Paese paga anche la perdita di alte percentuali di territorio potenzialmente arabili, cedute a quel land grabbing che qui ha mostrato il suo volto più feroce. E che è costato molto caro: nel 2010, l’Etiopia ha registrato una consistente contrazione delle sue esportazioni di caffè (-22 per cento anno su anno, -33,8 per cento negli ultimi dieci mesi) e colza (-14,6 per cento da agosto), prodotti che rappresentano pressappoco il 26 per cento e il 18 per cento dell’export totale. Meno esportazioni significa redditi inferiori e minor potere d’acquisto per le famiglie di contadini e piccoli proprietari. Il ciclo della fame così si perpetua anche così.


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