Pacchetti no logo contro il fumo l’ultima sfida a Big Tobacco

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Addio al cammello-dromedario delle Camel. Stop alla livrea bianca-rossa delle Marlboro e al leone delle Ms. Il fumo fa male e la crociata mondiale del salutismo sta traghettando le sigarette nell’era del pacchetto no-logo. La nuova guerra anti-nicotina partirà  in Australia il primo gennaio 2012. Da quel giorno cambierà  l’esposizione sui banconi dei tabaccai.
Saranno in mostra solo confezioni di sigarette rigorosamente uguali: sfondo verde oliva («scoraggia l’acquisto tra i giovani», ha sentenziato un panel di cromo-psicologi), grandi foto un po’ pulp sui danni da fumo – dai denti gialli in giù lungo la scala dell’orrore – su fronte e retro del pacchetto. E sotto, piccolo piccolo e in caratteri uguali per tutti, il nome del produttore. Zero concessioni al marketing, nessuno spazio ai creativi e obiettivo chiaro: «Ridurre il fumo tra i teenager in un paese dove le sigarette uccidono 15mila persone l’anno con un costo sociale di 31,5 miliardi», come ha calcolato il ministro alla salute Nicola Roxon.
La partita è delicatissima. L’Australia, infatti, è solo la prima tappa. Il varo del pacchetto no-logo è già  all’esame del Parlamento inglese. La Ue ha avviato le consultazione per l’introduzione nel Vecchio continente. E una decisione (sul tavolo di Bruxelles sono piovute 87mila osservazioni di consumatori e industria) è prevista per fine anno. La portata degli interessi in gioco è testimoniata dalla reazione preventiva dei colossi del tabacco. Philips Morris ha dato mandato ai suoi legali per chiedere «miliardi di risarcimenti» a Sydney per danni alla proprietà  intellettuale. «La confezione senza marchio sarebbe un colpo mortale – ammettono anche in Bat Italia – Per noi e per le casse dei paesi coinvolti. In Italia, per dire, le accise sulle sigarette portano nei forzieri dello stato 14 miliardi l’anno».
I miliardi spesi dalla lobby dei produttori per arginare l’offensiva anti-fumo non hanno dato per ora molti risultati. Anzi. Assieme al varo dei pacchetti a creatività  zero (in Europa sarebbero a sfondo bianco o beige), Bruxelles avrebbe già  in canna un altro colpo: il divieto della loro esposizione in negozio o al supermercato. «Le scaffalature a tutta parete coperte di confezioni dai colori sgargianti sono una trappola per i giovanissimi», dicono i talebani del fronte no-smoke. La Ue vorrebbe così nasconderle in appositi spazi sotto i banconi o in cassettiere anonime dal sapore vagamente obitoriale, manco fossero casse di whisky nell’era del proibizionismo. Non si tratta di una novità . In Islanda, Finlandia e Irlanda le sigarette sono già  off-limits, sparite dalla vista dei clienti. «Risultato? Un calo delle vendite molto ridotto – lamentano i padroni della nicotina – e una valanga di negozi falliti o chiusi».
La salute, naturalmente, viene prima di tutto. In Italia, dove i fumatori sono il 22% della popolazione (contro il 28,9% di inizio millennio) il 12,5% dei decessi – calcola l’istituto superiore della sanità  – è legato in qualche modo al tabacco. Il Vecchio continente però è in crisi, le casse degli stati sono vuote. Pecunia non olet e i big del tabacco hanno capito su quale tasto battere. «Occhio a non tirarvi la zappa sui piedi – ripetono –. Togliere dai pacchetti cammelli-dromedari, leoni e cowboy della Marlboro significa fare un regalo al contrabbando per cui sarebbe molto più facile inondare il mercato con confezioni (no-logo) contraffatte». Danno potenziale per l’Europa: 10 miliardi l’anno. Un numerino che ha già  fatto scricchiolare il fronte anti-tabacco: il governo inglese di David Cameron, per dire, ha rinviato di sei mesi il divieto di esposizione varato da Gordon Brown. Va bene far la guerra alle sigarette. Ma di veder andare in fumo le (poche) entrate fiscali dello stato – con questi chiari di luna – non è contento nessuno.


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