Shell fa ancora danno in Nigeria

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Così scrive il quotidiano britannico The Guardian, che afferma di aver visto gli atti della causa civile in corso presso il tribunale di Londra: il caso infatti è oggetto di una class action, una causa civile collettiva intentata dalla comunità  locale danneggiata. E’ un caso che farà  notizia, sia perché potrebbe finire in un mega-risarcimento; sia perché potrebbe segnare un precedente legale; sia perché il nome Shell associato a Ogoniland richiama pagine buie della compagnia anglo-britannica in Nigeria: torna alla mente Ken Saro Wiwa, scrittore e leader di un movimento di protesta della popolazione Ogoni contro la Shell, impiccato nel 1995 da un governo militare con il complice silenzio dell’azienda…
Il caso di cui si sta occupando il tribunale di Londra è avvenuta nei pressi di Bodo, in Ogoniland, nello stato di Rivers, nel delta del fiume Niger. Si tratta di due rotture accidentali, avvenute nel 2008 a pochi mesi una dall’altra, nell’oleodotto transnigeriano Bodo-Bonny, che trasporta in media 120mila barili di greggio al giorno. Dalle due falle sono uscite grandi quantità  di greggio, per settimane, senza che la cosa fecesse grande notizia (avete visto foto di cormorani con le piume incatramate, come quando un incidente simile avviene, ad esempio, in Louisiana?). Una zona di 20 chilometri quadrati è devastata: il petrolio ha impregnato la rete di corsi d’acqua e isole da cui traggono cibo e acqua gli abitanti di Bodo e di una 30ina di villaggi circostanti. Si è accumulato sulle sponde dei canali, è portato dalle onde di marea, percola nelle falde acquifere, contamina i terreni.
L’entità  del disastro è contestata: Shell afferma che sono stati dispersi 40mila galloni di petrolio (oltre 150mila litri). Ma «esperti che hanno studiato la documentazione fotografica», cita il Guardian, dicono che le due falle potrebbero aver disperso altrettanto petrolio della Exxon Valdez, la petroliera che fece naufragio sulle coste dell’Alaska nel 1989 riversando 10 milioni di galloni secondo le stime più basse (37 milioni di litri, o 257,000 barili).
In ogni caso, finora non è stato fatto alcun tentativo di ripulire questa «macchia nera», raccogliere il petrolio sversato e bonificare la zona: Ken Saro-Wiwa non aveva torto quando, nella sua ultima auto-difesa, ha accusato Shell di «razzismo», «perché quello che fanno agli Ogoni non lo farebbero in altre parti del mondo». Risarcimenti? Secondo le comunità  locali, Shell ha offerto loro in tutto 3.500 sterline (circa 4.000 euro) oltre a 50 sacchi di riso, 50 di fagioli e qualche cassa di zucchero, olio di semi e pomodoro. I capi-comunità  di Bodo hanno dapprima respinto l’offerta come «un insulto», riferisce il quotidiano britannico, poi l’hanno accettata su consiglio di consulenti legali. Poi è arrivata la class action, sostenuta da organizzazioni per la giustizia ambientale come il Centre for Environment and Human rights a Port Harcourt (la capitale dello stato di Rivers) e da analoghi gruppi britannici: Shell potrebbe finire a pagare centinaia di milioni di dollari, tra bonifica e risarcimenti.
Incidenti e sversamenti piccoli e grandi sono quotidiani, nel delta del Niger, da parte di varie compagnie petrolifere. Shell di solito ne addossa la responsabilità  ai sabotaggio di «giovani» locali, o i tentativi di furto – che però non cancellano la storia di inquinamento pervasivo che ha accompagnato la Shell in Ogoniland fin dal 1958… Ma di questo riferità  l’Unep, il programma dell’Onu per l’ambiente, che su incarico formale del governo nigeriano ha studiato l’effetto accumulato degli oltre 7.000 sversamenti avvenuti in Ogoniland dal 1989: il rapporto sarà  presentato proprio oggi al presidente Jonathan Goodluck e domani al pubblico internazionale. E dalle prime anticipazioni, sarà  un atto d’accusa.


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