Strage in mare, Frattini contro la Nato “Un’inchiesta sui mancati soccorsi”

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PALERMO – L’Italia pretende spiegazioni formali, la Nato ribatte di essere stata informata ma di non aver mai ricevuto una richiesta di soccorso da Roma e conferma il proprio impegno in aiuto dei profughi provenienti dalla Libia.
Dopo l’ennesima tragedia dell’immigrazione nel Canale di Sicilia consumatasi nell’indifferenza dei mezzi che incrociavano poco distante dal barcone in avaria con centinaia di persone a bordo da giorni senza acqua e cibo e decine di cadaveri gettati in mare, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto alla Nato un’inchiesta formale per accertare quanto avvenuto a 90 miglia da Lampedusa, ancora in acque territoriali libiche, tra mercoledì e giovedì dopo che un rimorchiatore cipriota che aveva avvistato il barcone e prestato i primi soccorsi ai profughi aveva lanciato la richiesta di soccorsi ignorata da una nave dell’Alleanza atlantica che navigava a sole 27 miglia.
All’ambasciatore Sessa – dicono dalla Farnesina – il ministro Frattini ha chiesto di «sollecitare una discussione all’interno dell’Alleanza Atlantica per il possibile adeguamento del mandato della missione di salvaguardia delle popolazioni civili in Libia, sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite 1970 e 1973 affinchè vengano opportunamente considerate la tutela e il soccorso anche di coloro che per cause belliche sono costretti a fuggire su barconi mettendo a rischio la propria incolumità ». Passano diverse ore prima che il portavoce Carmen Romero risponda che il comando marittimo della Nato è stato avvisato dalle autorità  italiane della richiesta di aiuti di una nave e successivamente anche del fatto che loro avevano risposto alla richiesta inviando tre navi e un elicottero di supporto. «La Nato – sottolineano da Bruxelles – è da sempre impegnata a fornire assistenza in situazioni d’emergenza in mare. Negli ultimi mesi, unità  navali sotto il comando Nato lo hanno dimostrato e continueranno a farlo».
Un rimpallo di responsabilità  al quale si guarda con molto distacco a Lampedusa dove medici e volontari hanno lavorato tutta la notte per soccorrere i 367 migranti, e tra questi decine di donne e bambini, arrivati sull’isola in gravissime condizioni di disidratazione e ipotermia. I numeri della tragedia sembrano ridimensionati rispetto alle prime testimonianze: un numero compreso tra venti e trenta. «Alcuni sarebbero morti di stenti o per la mancanza d’acqua, altri si sarebbero lanciati in mare annegando nel tentativo di raggiungere una nave – spiega Laura Boldrini dell’Unhcr, altri ancora soffocati nella stiva come sul barcone approdato domenica con 25 cadaveri. Alcuni, infine, sarebbero finiti in mare nel corso di una rissa per riuscire ad accaparrarsi le bottiglie d’acqua lanciate dall’elicottero che per primo ha raggiunto il barcone». Il portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati lancia un appello: «Applichi il diritto anche in mare. Se la Nato è in missione in Libia per difendere i civili non si vede perchè non debba avere la stessa funzione in mare».
Da Lampedusa, dove ieri era in visita, il segretario del Pd Pierluigi Bersani dice: «L’Italia si deve fare promotrice dell’esigenza di un intervento internazionale che metta fine a questa tragedia. Nessuno davanti a queste stragi può voltare la faccia dall’altra parte e non assumersi le proprie responsabilità ». Sarcastico il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli, della Lega: «Che la Nato con i potenti schieramenti di mezzi aereonavali e di tecnologie di avvistamento che in questo momento sta dispiegando nelle acque libiche non abbia potuto avvistare un barcone delle dimensioni di cui si discute, è una favola a cui non può credere nemmeno Cappuccetto Rosso». E dalle organizzazioni umanitarie giunge la richiesta pressante dell’apertura di canali umanitari per consentire ai profughi di lasciare la Libia.


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