Tremonti: giusto che paghino anche i ricchi

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ROMA — «Anche i ricchi paghino» c’è scritto a caratteri cubitali sul cartello sventolato da un signore di Arezzo all’ingresso della sala dove, a Castelgandolfo, è in corso il 44° congresso delle Acli. «Sono perfettamente d’accordo» dice, facendosi più vicino, Giulio Tremonti. Un’occasione migliore per dire finalmente la sua sulla riscrittura della manovra, al ministro dell’Economia non poteva capitare. Accolto da applausi tiepidi della platea, ne incassa di scroscianti dopo aver spiegato che quel contributo che è poi saltato, riportando tutto in alto mare, lui lo riteneva giusto.
«Se vogliamo il pareggio di bilancio, che non è una chimera o un esercizio di ragioneria, ma un esercizio politico fondamentale, serve una logica di equità . Ed è da lì che viene la credibilità » dice il ministro, consegnando all’assemblea dei lavoratori cristiani, prima che agli industriali a Cernobbio ai quali parlerà  oggi «perché prima viene il piacere e poi il dovere», il suo punto di vista. Sulla crisi «prevedibile» nella quale l’Italia ha avuto fortuna, perché «non abbiamo avuto l’occasione di buttare via i soldi per gli stimoli fiscali, visto che non li avevamo», e sulla manovra. Anche se portava pochi soldi, «anche se potrei avere idee più dialettiche su quel cartello, che sarei comunque grato mi permettessero di portar via tanto per ricordarmelo, il contributo di solidarietà  aveva un senso dal lato dei principi».
Ora «è venuto meno», ma non per questo il risanamento è a rischio. «Sono state dette tante cose non giuste, i saldi non cambiano». Le entrate che avrebbe portato il contributo di solidarietà , 700 milioni nel 2012 e 1,6 miliardi l’anno successivo, «e che rappresentano il 2,5% della manovra complessiva», saranno più che compensate da quelle che arriveranno dalla lotta «all’enorme evasione fiscale che c’è in Italia». «Di soldi ne arriveranno molti di più» di quelli iscritti in bilancio. Le nuove norme antievasione, spiega, nascondono un cambio di passo: non più solo repressione, ma anche prevenzione. Con il coinvolgimento dei Comuni, che pubblicheranno online i redditi dei residenti, la trasparenza delle banche, le sanzioni penali contro gli evasori «che erano diventate solo virtuali». «Tutto il fisco è centrale, ma le imprese sono sul territorio. Ci sono 4 milioni di partite Iva, e non può bastare l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza. C’era un’asimmetria da chiudere. Così abbiamo imposto ai Comuni di partecipare alla lotta all’evasione. È un passaggio di civiltà , si fa così anche in Europa». La privacy? «Il problema non è quello di esporre i ricchi al rischio dei rapimenti, ma di provare quanta gente è così fintamente povera» dice il ministro. Dopo aver ascoltato i dati dei Caf Acli sulle dichiarazioni 2010, che parlano di un reddito medio di 21.933 euro (cresciuto appena dello 0,4%, ma di fatto eroso dall’inflazione), di un contribuente su tre sotto i 15 mila euro, e appena il 2% oltre i 70 mila, Tremonti snocciola i suoi numeri.
Tra i titolari di partite Iva, dice il ministro, sono milioni quelli che si collocano tra i 10 e i 20 mila euro, «ma solo 3.106 contribuenti dichiarano oltre 500 milia euro, e quelli che denunciano più di un milione sono appena 682. Quando si vendevano 219 mila Mercedes di classe E, che dopo la crisi sono diventate 131 mila. Non c’è un’oscura maledizione incivile nel Paese. C’è che non hanno funzionato, perché non c’erano, gli strumenti di prevenzione» dice il ministro, andandosene con il cartello «Anche i ricchi paghino» sotto il braccio.


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