Tra i superstiti di Fukushima “Il Giappone ripartirà  con noi”

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FUKUSHIMA. Un’erba folle, d’un verde stupefacente, ricopre le ampie risaie dove sei mesi fa l’onda trascinò case, auto e cadaveri in giganteschi grovigli di cui oggi restano soltanto poche lamiere, simili a sculture informali o a relitti di uno spaventoso incidente stradale. Per demolire quello che i flutti lasciarono in piedi, le ruspe hanno lavorato alacremente. Tonnellate di macerie sono poi state ricompattate in gigantesche piramidi, ed è ora possibile valutare le devastazioni dello tsunami che lo scorso 11 marzo si abbatté sul Giappone nord-orientale. La distruzione apocalittica di questa porzione di Paese è finalmente sotto gli occhi di tutti. Sgombro di detriti è un palcoscenico che spaventa, soprattutto per il vuoto generato dal cataclisma.
In molti luoghi, soltanto la battigia è ancora transennata, perché può capitare che il Pacifico vomiti un corpo. Per il resto, i postumi del disastro sono gli stessi a Sendai, Ishinomaki, Fukushima e nelle altre località  che tocchiamo in un Paese ferito nella carne, proprio come lo fu all’indomani della Seconda guerra mondiale. Ovunque vedi città  distrutte, porti in frantumi e moli sommersi; ma ovunque trovi uomini febbrilmente affaccendati a ripulire, abbattere e ricostruire. Spesso, come accadde a Banda Aceh nel 2004, anche a tre o quattro chilometri dalla costa incontri grassi pescherecci trasportati fin qui dai marosi impazziti e abbandonati in un campo di grano o sul tetto di una scuola.
In fretta, il taccuino si riempie di storie commoventi, o quantomeno edificanti. C’è quella del pescatore sopravvissuto alla furia del mare e originario di un paesino che non esiste più, il quale sorride raccontandoti delle ostriche che ha appena messo in coltura, prima ancora di pensare a rifarsi la casa. O quella del ventunenne grosso e forzuto come un eroe dei fumetti Manga, volontario in un centro di sfollati, che piange parlando degli amici rapiti dalle acque e dell’orrore che ha visto dopo lo tsunami. O ancora quella di un contadino testardo, il quale non ha voluto abbandonare la sua cittadina, nella zona rossa attorno alla centrale di Fukushima, dove è rimasto l’unico abitante assieme al bastardino Aki, tra carcasse marcescenti di bestiame.
Rosso di collera è invece Takenori Takahashi, direttore del Centro di ricostruzione di Ishinomaki, che con i suoi 3.165 morti e 793 dispersi è forse la città  più colpita dal disastro. Ishinomaki contava duecento aziende di scatolame di pesce, tutte andate distrutte dal cataclisma. Oggi, Takahashi teme il rischio di bancarotta della città , e imputa la colpa all’inesperienza delle autorità  di Tokyo. Dice: «La risposta del governo è troppo lenta, nessuna promessa è stata mantenuta. Per poter ripartire, all’economia locale servirebbe subito l’equivalente di 10 miliardi di euro, ma qui non è ancora arrivato un centesimo».
La ragione di questo ritardo, si potrebbe obiettare, è forse un’altra: lo spettro, non ancora dissipato, di una catastrofe nucleare a Fukushima. Due giorni fa, parlando della centrale disastrata, il Nobel per la letteratura Kenzaburo Oe ha usato una metafora piuttosto calzante, sostenendo che dopo Hiroshima e Nagasaki è stata questa la terza bomba atomica esplosa in Giappone, «ma stavolta per colpa dei giapponesi». Yuri Sato, governatore della prefettura di Fukushima, regione di splendide montagne grande come la Campania, si dice invece fiducioso sull’operato del nuovo governo di Yoshihiko Noda: «È vero, problemi ancora irrisolti sono tanti, dalla decontaminazione in prossimità  degli impianti, al commercio di frutta danneggiato dall’isteria collettiva. Tuttavia, il premier l’ha detto chiaramente: il Giappone non si risolleverà  finché non l’avrà  fatto Fukushima. Perciò, anche grazie all’aiuto di Tokyo, diventeremo famosi per la tenacia e la perizia con cui salveremo la nostra prefettura».
Altrettanto ottimismo, o altrettanta fierezza, emerge nelle parole del professor Jun Iio, artefice del piano di ricostruzione del Paese dopo il “grande terremoto”. «Sebbene stavolta il sisma abbia raggiunto la magnitudo record di 9 punti, che lo tsunami abbia superato i 38 metri d’altezza e che ci sia ancora una catastrofe nucleare in corso, sono certo che tra tre anni l’economia delle regioni colpite tornerà  alla normalità , tra cinque i problemi di Fukushima saranno risolti e tra dieci l’intero Giappone avrà  superato questa prova», sostiene il professore. Per provvedere ai danni dello tsunami, il governo sta per varare una terza finanziaria pari a 100 miliardi di euro, mentre se nel 2011 le stime della crescita sono al -5,7%, quelle dell’anno prossimo già  sfiorano il 2%. Ma per Wago Ryoichi, giovane poeta originario di Fukushima, noto per aver subito pubblicato su Twitter i versi composti dopo l’11 marzo, l’orrore e la paura cominceranno a sentirsi solo ora. «Quando la terra ha tremato – sostiene il vate del disastro – e quando è esplosa la centrale, ne hanno scritto tutti i giornali del pianeta. Ma ora? Ci sono migliaia di persone che ancora soffrono, e nessuno ha ancora fornito soluzioni».
A Tokyo, intanto, tutti seguono scrupolosamente le indicazioni per risparmiare energia. La città  è più buia, i negozi chiudono prima e negli uffici dove l’aria condizionata è spenta, gli impiegati hanno coniato un nuovo termine: “cool biz”, fresco affari, che sta per maniche di camicia e assenza di cravatta. Nel frattempo, i turisti sono diminuiti del 60%. «Eppure molte regioni del Giappone non sono state neanche sfiorate dalla catastrofe», spiega il signor Kameyama, della Japanese tourism agency. «Le notizie sul cibo contaminato sono state ingigantite, e adesso che il pericolo è finito la fobia persiste». Già , ma è difficile scrollarsi un’immagine di dosso. Perfino in Giappone.


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