“La trattativa Stato-mafia partì dopo Capaci”

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PALERMO – Ha chiesto lui di essere interrogato, qualche settimana fa.

Adesso, il pentito Giovanni Brusca dice di essersi ricordato con certezza il momento in cui Totò Riina gli parlò per la prima volta della trattativa fra mafia e Stato. «Era fine giugno ’92», spiega l’ex boss di San Giuseppe Jato nell’aula del tribunale dove l’ex vice comandante del Ros, Mario Mori, è imputato di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano. Dunque, dopo la strage Falconee prima della morte di Borsellino Riina avrebbe recapitato le sue richieste per fermare la stagione delle bombe.

E intanto, sostiene Brusca, «era stata stilata una lista di politici da uccidere»: i primi nomi erano quelli degli ex ministri Calogero Mannino e Carlo Vizzini. «Per Mannino avevo già  avviato gli appostamenti – spiega il pentito – poi, a metà  luglio, fu bloccato tutto».

Accaddero davvero molte cose prima della strage Borsellino: il vero perché Brusca non l’ha mai saputo. Adesso, i pm di Palermo avanzano un’ipotesi, dopo aver trovato al Viminale un documento riservato del Dipartimento della pubblica sicurezza, datato 16 marzo ’92: «Sono state rivolte minacce di morte contro il signor presidente del Consiglio e i ministri Vizzini e Mannino», questo scriveva l’allora capo della polizia Parisi, citando una fonte anonima. Secondo i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, quel documento potrebbe spiegare l’origine della trattativa: dopo le minacce rivelate al Viminale, non è ancora da chi, uomini delle istituzioni si sarebbero mossi per tentare di fermare quella che Parisi chiamava «una campagna terroristica, annunciata per marzo-luglio».

Di certo, adesso, Brusca spiega che a fine giugno Riina gli disse: «”Lo Stato finalmente si è fatto sotto”. Il pentito racconta: «Eravamo a casa di Girolamo Guddo, dove era stata decisa la morte di Falcone. A margine di un summit, Riina andava mostrando orgoglioso un papello con una serie di richieste: dall’abolizione del carcere duro alla revisione dei processi».

Già  nel ’99, al processo Borsellino, Brusca aveva parlato dell’incontro di giugno con Riina, ma era stato vago sui tempi. Ora, precisa: «Ho ricordato di avere incontrato nuovamente Riina a luglio, a Mazara, nella riunione in cui si decise la morte del boss Vincenzo Milazzo, ucciso qualche giorno dopo, il 16 luglio. L’incontro a casa Guddo risale ad almeno dieci giorni prima». Per i pm è un riscontro importante alla ricostruzione offerta da Massimo Ciancimino, che ha parlato di incontri fra il padre Vito e l’allora colonnello Mori già  a giugno ’92. Le parole di Brusca sarebbero soprattutto un’ulteriore conferma al sospetto più pesante: Borsellino aveva forse scoperto la trattativa fra Stato e mafia, per questo sarebbe morto. Ma il generale Mori continua a negare di avere visto Ciancimino prima della strage Borsellino. Nega soprattutto di aver ricevuto il papello. In aula, il suo legale, l’avvocato Basilio Milio, propone una serie di contestazioni a Brusca: «Dopo il pentimento, nel ’96, aveva datato l’incontro con Riina all’indomani della strage Borsellino – dice – poi, nel ’98, ha cambiato idea».

Brusca rilancia, con altri ricordi su Gaspare Spatuzza, oggi pentito pure lui: «Mi disse che il fallito attentato all’Olimpico, del ’93, era stato progettato per vendicarsi dei carabinieri, che non avevano rispettato i patti».


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