Catturato o in fuga? È giallo sulla sorte dell’erede Saif al Islam

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TUNISI — All’hotel Hana sulla centrale Avenue Bourguiba di Tunisi, da mesi residenza di decine di esuli libici tra cui molti feriti nella lunga battaglia contro Gheddafi, sono tutti incollati a Al Jazeera. «Morto il padre adesso vogliamo sapere che fine fa il figlio, l’erede, il tanto “moderato” Saif al Islam», dice Abdelaziz di Misurata, appoggiato a stampelle e una gamba fasciata ma con un grande sorriso. «Tante voci e nessuna certezza, speriamo che anche questa storia finisca presto». Finisca, ovvero che il secondogenito-delfino, studi a Londra ed ex volto buono del regime libico, raggiunga il Colonnello. O che sia catturato, su cosa sia meglio qui si discute. La sensazione è che se molti avrebbero voluto Gheddafi e figli su un banco degli imputati, l’importante è che siano stati presi, il loro «regno» finito per sempre. In serata le foto terribili diffuse da un sito inglese di un altro Gheddafi jr, Mutassim, faranno sensazione ma più in Occidente che tra i cittadini dell’ex Jamahiriya: la sua morte già  documentata giovedì, insieme a quella del padre, non è stata in battaglia, come sembrava. Un video mostra il 36enne che spendeva milioni per festini con pop star mondiali, consigliere per la sicurezza nazionale con un ruolo chiave (pare) nella repressione. Già  prigioniero, barba e capelli lunghi, è in canottiera e sporco di sangue. Ma è vivo: beve acqua e fuma una sigaretta. Poi, sullo stesso divano, le immagini del suo cadavere con una ferita mortale alla gola e una all’addome, che prima non c’erano. Ucciso a sangue freddo, quindi. Come il padre.
E un’analogia, seppur diversa, collega il defunto dittatore a Saif, il figlio più noto, più contradditorio: come per il Colonnello, fino all’ultimo, le sue sorti restano oggetto di continue voci, supposizioni, certezze annunciate da chi, è il sospetto, vuole mettersi in luce perfino nel governo di transizione, per poi essere smentite due ore dopo. «È scappato in Niger con i fidi Tuareg». «No, è catturato e ferito alla schiena». «Ha perso un braccio». «L’hanno preso a Zlitan, è stato colpito, è ricoverato per cure mediche». Nessuna conferma, né prova: ma la tv libica ha annunciato che «i rivoluzionari del 17 febbraio circondano l’ospedale per impedirne la fuga, se la notizia fosse vera».
L’ultima segnalazione risale a mercoledì sera: avvistato a Sirte con il padre e Mutassim, poche ore prima che questi ultimi fossero uccisi. La scorsa settimana era stato individuato a Bani Walid, già  circondata su tre lati ma ancora libera nella via che portava al Sud. Testimoni locali hanno dichiarato di averlo visto in partenza per quella strada, che dalle montagne va in Niger. Ma che raggiunge presto anche la via Sebha-Sirte. Forse l’annuncio di ieri di Saif a Niamey, con altri membri della famiglia, nasceva da quell’indicazione. Ma se i testimoni di Sirte sono affidabili, Saif aveva invece raggiunto il padre, le voci di una sua cattura a Zlitan potrebbero essere vere.
Nel caos degli annunci, che mettono in crisi i media del mondo tra voglia di scoop e saggia cautela, tutti aspettano ora conferme: non parole ma video, foto magari riprese da telefonini. Terribili ma definitivi per segnare il compimento di un altro capitolo della tragedia, la fine della Jamahiriya e dei suoi padroni.


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