Tra opposizione e concertazione

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Rebus che ha trasformato la manifestazione nazionale prevista per ieri in una grande assemblea dei delegati, circa 15.000, nel Palasport di Roma. Oggi ci sarà  l’atteso faccia a faccia tra il segretario generale, Susanna Camusso, e il governo. Ma per la tempistica inusuale (domenica, il giorno prima del varo ufficiale della «manovra») e la radicale determinazione fin qui mostrata da Monti e la sua squadra, difficilmente questo incontro produrrà  un cambiamento di priorità  dell’agenda governativa. Fin qui siamo all’ovvio.
L’assemblea di ieri, dunque, oltre a portare in evidenza diverse storie di ordinaria e straordinaria crisi sociale – i dipendenti di aziende chiuse come Sanofi aventis o Wagon Lits, «esuberi» di Unicredit o Teleperformance, immigrati di Nardò e ricercatori dell’Ispra, ecc – serviva a fare il punto, per tutta la confederazione, davanti alla nuova situazione. E per far parlare dei «nove punti» che la segreteria porrà  all’attenzione di Monti & co. Problemi veri e seri, che nel complesso disegnano un altro modo di affrontare la crisi e le sue conseguenze.
Si va dall’esigenza di una vera «politica economica e industriale»; forse la più grave delle «mancanze» fatte registrare dal governo precedente, che ha seminato il paese di aziende che chiudono e «tavoli di trattativa» spesso ridotti al triste conteggio dei licenziamenti «necessari» e degli ammortizzatori sociali disponibili. Alla riduzione delle tipologie contrattuali in vigore, cominciando ovviamente dalle oltre 40 forme «precarie», nella speranza di ridurre al solo apprendistato la tipologia di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Si pretende una riforma degli stessi «ammortizzatori sociali», da cui sono esclusi quasi due milioni di lavoratori; nonché una «restaurazione dei diritti» nella pubblica amministrazione, stabilizzando le centinaia di migliaia di persone fin qui messe al lavoro senza alcuna garanzia. E poi naturalmente una effettiva parificazione del lavoro delle donne rispetto agli uomini, una lotta durissima al lavoro nero, che porta con sé una «politica per il sud» e la lotta senza quartiere all’economia mafiosa.
E non c’è dubbio che alcuni di questi temi – specie quelli «legalitari» – possano esser riguardati con attenzione dal «governo dei professori». Ma altrettanto certamente – dalle innumerevoli e autorevoli e non smentite indiscrezioni trapelate fin qui – appare arduo che le politiche da applicare sul mercato del lavoro possano essere molto diverse da quelle già  indicate come «governo delle banche» (a partire dalla «lettera della Bce» del 5 agosto).
Quindi, che farà  la Cgil se dovesse esser varata una manovra molto diversa da quella trattegiata nei «nove punti»? Gianni Rinaldini, coordinatore della minoranza interna, ha già  ipotizzato un «un programma di iniziative di mobilitazione e lotta, fino allo sciopero generale» sul tema delle pensioni. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, «si augura che le indiscrezioni non corrispondano al vero, ma se dovessero esserlo la Cgil dovrà  decidere iniziative di mobilitazione adeguate e utili a contrastarle».
Tra parentesi, ricorda, lunedì rischia di essere anche «la giornata in cui Fiat può imporre e far firmare agli altri sindacati l’estensione del modello Pomigliano a tutti gli stabilimenti del gruppo». Una mossa contro cui è già  stato proclamato lo sciopero generale di tutti i metalmeccanici, il 16. La Camusso ne è parsa consapevole, quando ha accennato alla necessità  di riformare l’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, in modo da garantire i diritti sindacali anche a chi non firma gli accordi. Ovvero alla Fiom in Fiat.


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