C’era una Volta la Lira: Euro, i Prezzi Dieci Anni dopo

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MILANO — Dalla tazzina di caffè alla pizza, dal lotto al canone Telecom e all’abbonamento Rai, dalla pasta all’abbigliamento: dieci anni di euro hanno portato a rincari generalizzati in tutti i settori merceologici, nei servizi pubblici come in quelli privati, mentre le buste paga degli italiani, in termini di potere d’acquisto, sono rimaste ferme e il peso fiscale, complice l’ultima manovra del governo Monti, continua ad aumentare. Però, è bene dirlo subito per non rafforzare le ragioni dei detrattori della moneta comune, che in Italia sono fin troppi: non è colpa soltanto dell’euro.
Elettricità , treni, pedaggi autostradali, benzina, farmaci e servizi tendono ad aumentare comunque di anno in anno, a causa di fattori diversi, inclusi il prezzo del petrolio, di cui l’Italia è forte importatore, e soprattutto la mancanza di concorrenza vera in molti mercati. All’inizio del 2002 è successo che si sono sommati aumenti già  programmati, soprattutto nei trasporti, con ritocchi ingiustificati. 
Il changeover
Ma sotto accusa è finito l’euro. Che la conversione alla moneta comune, arrivata nelle tasche degli italiani il primo gennaio 2002, facesse aumentare i prezzi era al primo posto tra le paure degli italiani alla vigilia del changeover. E a poco sono serviti gli accordi sottoscritti da associazioni dei consumatori e dei commercianti, con la promessa di congelare i cartellini per almeno 5 mesi, come chiesto dalla Commissione Europea. I vari comitati, incaricati di controllare, hanno controllato poco. E già  una settimana dopo l’avvento dell’euro, si stimavano aumenti generalizzati tra lo 0,4% e lo 0,7% in media. Con casi eclatanti. Come a Milano, dove il biglietto di tram e metro, che fino al 31 dicembre 2001 costava 1.500 lire all’inizio di gennaio 2002 è passato di colpo a un euro tondo invece di essere convertito in 0,77 euro. O la giocata minima del lotto, raddoppiata in una notte da mille lire a 1 euro. Ma nel gruppo di chi ha approfittato del passaggio per aumentare i prezzi ci sono anche musei, giornali, bar e ristoranti. 
Alcuni hanno giocato d’anticipo e hanno accelerato i rincari a fine 2001. Così nelle settimane prima del passaggio alla moneta unica l’Autogrill, ad esempio, ha alzato il prezzo del panino da 4.500 a 4.850 lire, per poterlo poi convertire agevolmente in 2,5 euro da gennaio 2002. O qualche parrucchiere più furbo, sfidando la memoria dei propri clienti, ha rivisto all’insù il costo di taglio e piega già  a dicembre. 
Il problema vero è che nel decennio che sta per finire il potere d’acquisto degli italiani non solo è rimasto fermo ma, secondo la Confcommercio, tra il 2007 e il 2011 il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di oltre il 7%, con un calo dei consumi pro capite di oltre tre punti percentuali dall’inizio della crisi a oggi. Inevitabile quindi che a dieci anni di distanza dall’avvento dell’euro, confrontando i prezzi di alcuni prodotti e servizi, abbiamo l’impressione che la promessa di un mercato più trasparente con prezzi convergenti al ribasso nell’area dell’euro sia stata tradita.
Qualche esempio? La pizza 4 stagioni costava 10 mila lire, oggi bisogna sborsare 10 euro, quasi il doppio. Per mangiare un Big Mac nel fast food vicino alla Stazione Centrale a Milano oggi si spendono 3,5 euro: dieci anni fa bastavano 4.900 lire (2,53 euro). Il canone Rai costava 179 mila lire: è salito a 112 euro, con un aumento del 21,1%. Anche il canone di Telecom Italia è passato da 24.840 lire mensili (12,83 euro) a 16,50 euro. 
Il crollo dell’elettronica
Impossibile paragonare i prezzi di molti articoli di elettronica, uno dei settori che invece ha visto crollare i prezzi: molti modelli del 2002 sono obsoleti e quindi fuori produzione, superati dallo straordinario progresso tecnologico a cui abbiamo assistito negli ultimi 10 anni. Un esempio. A fine 2001 una macchina fotografica digitale Canon PS A40, con 1,9 megapixel di risoluzione costava la bellezza di 893 mila lire. Oggi con un prezzo piuttosto contenuto si comprano macchine digitali da oltre 10 megapixel. Idem nel settore della telefonia mobile, dove la liberalizzazione e la concorrenza tra gli operatori hanno fatto cadere i listini prezzi, proprio nel decennio dell’euro. 
Gli immobili rappresentano un caso a parte. Come sa bene chiunque abbia cercato di comprare casa nell’ultimo decennio, i prezzi sono esplosi, soprattutto nei centri storici di città  come Milano e Roma e nelle località  turistiche più rinomate. 
Con un’impennata delle compravendite proprio a cavallo del changeover, come ricordano i notai, quando molti acquirenti si presentavano a firmare il rogito con la valigia piena di contante: meglio investire nel mattone che far emergere cifre cospicue al momento della conversione in euro. E l’ultima crisi economica, invece di fare scendere le quotazioni, ha piuttosto congelato le transazioni. 
L’impatto della grande distribuzione
In questi ultimi 10 anni, di fatto, abbiamo assistito a due grandi cambiamenti che hanno contribuito a influenzare non solo l’andamento dei prezzi, ma anche il comportamento dei consumatori. Il primo è la straordinaria espansione della grande distribuzione, che nel 2011 ha raggiunto un giro d’affari totale pari a 93,4 miliardi di euro, comprensivo di discount e tutte le merceologie vendute. L’altro fenomeno è il progressivo avanzare del commercio elettronico, che oggi in Italia vale circa 14 miliardi, lontano dai fatturati degli altri Paesi, soprattutto se il confronto è con gli Stati Uniti, ma in continua crescita. Se nel gennaio del 2003, un anno dopo l’introduzione della moneta comune, l’Eurispes denunciava un aumento medio dei prezzi dei prodotti alimentari pari al 29%, l’Osservatorio inflazione della Nielsen racconta un’altra storia. Negli ultimi dieci anni l’andamento di tutti i prezzi dei beni di largo consumo venduti in supermercati, ipermercati e libero servizio, cioè le superfici tra i 100 e i 400 metri quadrati, si è dimezzato, scendendo dal 4,1% al 2,5% (dato di novembre 2011). Con una flessione assai maggiore rispetto all’inflazione ufficiale, salita invece al 3,4%. 
L’avanzare delle grandi catene, che nel settore alimentare parlano soprattutto straniero, ha permesso un generale contenimento dei prezzi, non solo grazie alle economie di scala derivanti dalla taglia dei player in campo, ma anche per via della fortissima crescita delle promozioni commerciali e, parallelamente e, allo stesso tempo, alla spinta ai prodotti a marca privata, i cosiddetti «private label», che hanno contribuito a cambiare il mix di prodotti nel carrello della spesa degli italiani.


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