La strage dei piccoli Un morto ogni 9 giorni

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Un esempio poi imitato a San Giorgio a Cremano, vicino a Napoli, con l’isola pedonale a tempo intorno all’istituto De Filippo sorvegliata da volontari della Protezione civile e volonterosi nonni con la fascetta al braccio. Una provocazione ma non un’esagerazione. Perché tra parcheggio che non c’è, traffico bloccato e orologio sul cruscotto che corre verso gli appuntamenti, accompagnare i figli a scuola somiglia sempre più ad un’operazione carico/scarico merci. Con tutti i rischi del caso, compresa fretta e distrazione, come il terribile uno-due di questi giorni ricorda a tutti i genitori alle prese con il bacino prima della campanella. Solo nel 2011 — secondo i calcoli dell’Asaps, l’associazione amici della polizia stradale — sono stati 38 gli incidenti che hanno coinvolto ragazzi che andavano o tornavano da scuola. Uno ogni nove giorni. Per fortuna solo uno mortale, una ragazza appena scesa dalla scuolabus vicino a Verona. «La Repubblica italiana è fondata sull’investimento del pedone» dice Giordano Biserni, che dell’Asaps è il presidente. E nemmeno lui esagera. Negli ultimi dieci anni, in Italia, i pedoni uccisi sono stati 8 mila. E quelli al di sotto dei 14 anni sono in crescita: 11 nel 2010, 14 l’anno scorso. Davvero non ci resta che chiudere le strade?
Molte città  hanno abbassato a 30 chilometri orari il limite di velocità  vicino alle scuole. «Ma non funziona» ammette Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e coordinatore dell’osservatorio sulla sicurezza stradale di Anci e Upi, cioè Comuni e Province. La rivista Quattroruote ha spedito i suoi inviati, armati di telelaser, a Roma e Verona. E ha dimostrato che i 30 all’ora venivano superati dall’85% della macchine. Praticamente tutte. «Lo strumento che dà  i risultati migliori — dice ancora il sindaco di Ascoli — è il passaggio pedonale rialzato». Strisce più dosso, così rallenta anche chi del codice della strada se ne infischia. Ma non tutti sono d’accordo. I dissuasori possono ostacolare i mezzi di soccorso, per questo alcuni sindaci non li vogliono mettere sulle strade principali. Addirittura ad Asolo, in Veneto, dopo il no dell’amministrazione un cittadino se li è messi a spese sue. Cosa non da poco visto che le strisce con dosso costano 3 mila euro. «Ogni volta che la Merkel ringhia — scherza ancora il sindaco di Ascoli — rischiamo di farne uno di meno. Eppure l’unica soluzione è impedire la velocità  in via forzosa».
Ma ci sono anche metodi più didattici. Come il piedibus, che dai primi esperimenti di Padova si è poi esteso almeno ad un centinaio di città , comprese Milano e Roma. È una carovana di bambini che va a scuola a piedi accompagnata da due adulti, un «autista» davanti e un «controllore» a chiudere la fila, con un percorso fisso e una serie di fermate programmate per raccogliere i passeggeri. Una sfida alle macchina basata sul volontariato che non risolverà  il problema ma ha lo sguardo lungo. Il vero problema è che — secondo Legambiente — un bambino su tre a scuola viene accompagnato in auto. E sarà  anche vero che i nostri mezzi pubblici sono quelli che sono ma così non basterebbe nemmeno un parcheggio da stadio. A settembre, davanti alla scuola Leopardi di Roma, due vigilesse hanno chiesto a un genitore di spostare la macchina (sì, un Suv) mollata davanti al cancello. Quello per tutta risposta ha messo in moto, ha tentato di investirle ed è scappato via. Ecco perché il piedibus ha un senso: l’educazione conta, a scuola e pure al volante.


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