Contro Wade ora è rivolta

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I cinque «saggi» della corte hanno spianato la strada al sempre più impopolare presidente in carica, l’85enne Abdoulaye Wade, che potrà  correre per un terzo mandato in barba alla legge che ne consente al massimo due, ed estromesso tre dei suoi sfidanti. Tra questi il cantante Youssou N’Dour, che all’inizio dell’anno aveva annunciato ufficialmente la sua sfida a Wade. A scendere in piazza per primi i giovani del cosiddetto movimento M23, variegata coalizione che unisce partiti d’opposizione e segmenti della società  civile. Per prima cosa hanno occupato la piazza dell’Obelisco, vista un po’ come una piazza Tahrir in versione dakaroise (il Senegal è l’unico paese subsahariano in cui lo scorso anno – grazie anche agli abusi del suo anziano presidente – l’onda d’urto delle primavere arabe sembra aver avuto qualche riverbero). Dopo il risoluto intervento dei Gmi (Groupes mobiles d’intervention) in assetto antisommossa a suon di lacrimogeni e manganelli, l’azione si è spostata e moltiplicata nelle banlieues della capitale. A partire da Colobane, dove una pietra avrebbe ucciso un poliziotto. Blocchi stradali, copertoni e auto in fiamme, assalti ai commissariati e altri edifici pubblici hanno coinvolto fino all’alba le zone di Guédiawaye, la Corniche, Marché Ndiarème. Anche qui l’intervento della polizia è stato duro, con decine di feriti tra i manifestanti. All’ospedale sono finiti anche tre giornalisti (Malick Rokhy Bࢠdella France Press e due croniste di Le Populaire ) che ora accusano di brutalità  le forze dell’ordine. L’indignazione si è propagata rapidamente nelle zone interne del paese. A Mbour e a Fatick, a Thies dove la rivolta ha interessato la centralissima Avenue Léopold Sédar Senghor (una trentina gli arresti tra i militanti dell’M23), mentre a Kaolack è stato incendiato il quartier generale del partito di Wade. In aggiunta ai tanti ragazzi presi nelle strade, la polizia ieri ha eseguito una serie di arresti eccellenti, a cominciare dal rapper Daddy Bibson (pestato a sangue secondo il suo entourage). Poco prima era finito in manette Alioune Tine, uno dei principali esponenti dell’M23, che la notte prima denunciava «le violenze della polizia e le provocazioni di agenti infiltrati». Amath Dansokho, altro dirigente del movimento, ne ha chiesto la «liberazione immediata» e ha invitato a dirigersi verso la sede della Dic (Division des investigations criminelles), dove è detenuto Tine. Anche il candidato socialista Ousmane Tanor Dieng e Macky Sall, ex primo ministro e ora candidato presidente, hanno lamentato arresti, intimidazioni e rappresaglie poliziesche ai danni dei loro sostenitori. Stessa cosa hanno fatto altri due ex premier candidati, Moustapha Niasse e Idrissa Seck, secondo il quale il Consiglio ha preso una «decisione grave e sorprendente che avrà  effetti sulla pace, la stabilità  e la sicurezza in tutto il paese». Youssou N’Dour è stato bocciato perché delle oltre 12 mila firme depositate solo 8 mila sono state giudicate valide, e per accedere alla competizione elettorale ne servono almeno diecimila. Lui ha ricordato che il suo movimento « Fekké ma ci Bolé » (Io ci sono quindi conto) vanta già  centomila iscritti e ha commentato duramente l’appello dell’ambasciatore statunitense a «rispettare la decisione del Consiglio costituzionale». Secondo N’Dour, che ieri sera sarebbe stato malmenato dalla polizia, tanta timidezza con Wade deriva dal fatto che «il Senegal non ha petrolio». I suoi avvocati intanto erano già  al lavoro sul ricorso. Quanto a Wade, le sue ultime mosse denotano un certo nervosismo. Prima ha fatto confiscare il passaporto a vari esponenti dell’opposizione, a cominciare dall’ex ministro degli esteri Cheik Tidiane Gadio, affinché non vadano in giro a «screditare il paese». Poi, in vista del verdetto, ha fatto vietare tutte le manifestazioni fino a lunedì. Ma la rivolta è andata comunque avanti, a Dakar e in varie città  del paese, per tutta la giornata di ieri.


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