Medici, lo spreco milionario delle etichette salva privacy

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MILANO — Dall’inizio del 2005 in Italia sono state prodotte quasi 3 miliardi e 500 mila etichette salva privacy da attaccare sulle ricette per coprire il nome dei malati: peccato che da allora praticamente nessun medico le abbia mai utilizzate. Lo confessa Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano, tra i più importanti a livello nazionale: «È il prodotto più inutile del mondo — dice —. La destinazione finale? La spazzatura».
Milioni di euro buttati al vento. Soldi prelevati dalle casse pubbliche inutilmente, mentre il sistema sanitario è a corto di risorse. È uno scandalo che i medici, esasperati dagli ennesimi tagli annunciati per la sanità , trovano più che mai insopportabile. «Per ogni ricetta lo Stato stampa e distribuisce anche una complessa etichetta per la tutela della privacy — denuncia il medico di famiglia Francesco Carelli, docente dell’Università  Statale di Milano e membro del British Medical Council —. È composta da due strati, con una pellicola di carbone. Abbiamo calcolato che in sette anni non ne sono state utilizzate più di un migliaio».
Il tagliando salva privacy viene prodotto dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ed è sempre fornito insieme alle ricette. Lo prevede il decreto legislativo in materia di protezione dei dati personali del 30 giugno 2003 (il numero 196). L’obiettivo della norma — in vigore solo dal 2005 — è nascondere sulla ricetta l’identità  del malato e renderla visibile in caso di necessità  (togliendo il primo strato adesivo).
L’utilizzo è previsto su richiesta del paziente. Ma nessuno lo chiede. E neppure un medico lo usa. «Vuol dire che è inutile», è la sintesi. Per capirlo basta guardare la scrivania di Maurizio Bruni, un ambulatorio in via Procaccini e un contratto con l’Università  Vita e Salute del San Raffaele: qui si sono accumulate, mese dopo mese, 52 mila etichette salva privacy. Le ultime mille le ha ritirate all’Asl di via Ippocrate ieri: «È uno spreco senza fine», sbotta Bruni. Quanti soldi pubblici sono stati spesi per quasi 3 miliardi e 500 mila etichette salva privacy? Cinque milioni di euro? Dieci? Comunque troppi, davanti alla destinazione finale dei tagliandi: «C’è anche chi li usa come etichette per i surgelati», ironizza Roberto Carlo Rossi: «Gli altri continuano a essere buttati nei termovalorizzatori».
È verosimile che entro il 2014 si abbatterà  sulla sanità  una scure da 17 miliardi di euro. Non solo. Già  per effetto delle ultime manovre finanziarie, le risorse destinate al fondo sanitario nazionale per quest’anno sono di 108 miliardi e 780 milioni di euro, con un aumento, rispetto al 2009, che non copre nemmeno i costi dell’inflazione Istat. Di qui il giro di vite sui conti sanitari, che lo scorso agosto si è tradotto in un nuovo ticket da 10 euro per i cittadini. Il risparmio sulle etichette salva privacy può apparire una goccia nel mare. «Ma bisogna iniziare a utilizzare le risorse pubbliche in modo meno dissennato — ribadisce Bruni —. Ogni segnale, in questa direzione, è importante: quello delle etichette è uno spreco di Stato che compie sette anni». E, poi, quanti altri ce ne sono che nessuno denuncia?


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