Un’altra fetta di Palestina che Israele vuole mangiarsi

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Attacchi che il portavoce militare ha descritto come una risposta ai razzi artigianali sparati da cellule armate salafite verso il Neghev, dove non hanno provocato danni.
Ben diversi gli effetti delle bombe israeliane che hanno colpito tre tunnel tra Rafah e l’Egitto, Khan Yunis, Nuseirat, Bani Suheila e Beit Lahiya dove hanno causato il ferimento di un adulto e di un bambino. Per Israele invece sono stati colpiti soltanto «depositi di armi e munizioni». «La macchina da guerra israeliana continua a compiere crimini contro i civili di Gaza e a violare le leggi e le convenzioni internazionali», ha protestato Adham Abu Selmeya, portavoce del ministero della salute di Gaza. Qualche ora dopo a Nabi Saleh, a poco più di cento km di distanza da Gaza, 13 persone sono state ferite durante le cariche dell’esercito e della polizia di frontiera di Israele contro la manifestazione settimanale di protesta per la confisca di terre palestinesi e il Muro. Tra i feriti c’è anche una francese, colpita da un candelotto lacrimogeno sparato a distanza ravvicinata. A dicembre un candelotto uccise, sempre a Nabi Saleh, un giovane palestinese, Mustafa Tamimi. 
I bombardamenti delle scorse ore hanno riportato in primo piano anche la questione della «buffer zone», la zona cuscinetto vietata ai palestinesi che Israele ha creato all’interno di Gaza, lungo il confine, dove spesso si concentrano le incursioni militari israeliane. Si moltiplicano le denunce di famiglie contadine che hanno perduto ogni fonte di reddito perché l’esercito apre il fuoco contro chi si reca nei campi. Gli attivisti dell’International solidarity movement (Ism) provano, con la loro presenza, a garantire un minimo di protezione ai contadini ma non è sufficiente. Così i palestinesi perdono una fascia di territorio larga alcune centinaia di metri, verde e alberata. E’ la parte più fertile della Striscia che, al contrario, scendendo verso la costa appare arida e sabbiosa.
Ma le conseguenze economiche sono niente di fronte ai rischi per le vite umane. Non pochi contadini di Gaza hanno pagato un prezzo altissimo solo per il fatto di vivere dentro o a ridosso della «buffer zone», perché i militari israeliani che sorvegliano il confine non esitano ad aprire il fuoco su coloro che si addentrano nell’area «proibita». In questi anni si sono contati alcuni morti e numerosi feriti. Come Naama Abu Said, madre di cinque figli, uccisa a casa sua dal fuoco aperto da una postazione israeliana distante alcune centinaia di metri. Il marito Nasser ci ha raccontato di quella notte d’inferno di più di un anno fa in cui il piano superiore della sua abitazione divenne bersaglio, per motivi mai chiariti, del fuoco delle armi pesanti israeliane. Una parete della stanza da letto mostra ancora il foro largo circa un metro fatto da un razzo. Nasser oggi vive con i figli in una tenda ad circa 200 metri dalla sua abitazione in buona parte distrutta. 
Vittorio Arrigoni, l’attivista dell’Ism e collaboratore del manifesto assassinato lo scorso aprile, spese una porzione significativa del suo impegno proprio nella «buffer zone». Jaber, un contadino, ha costruito in campagna un monumento di marmo per ricordare il suo amico italiano. Un altro compagno di Vittorio, Saber, del “Comitato popolare di Beit Hanoun”, organizza frequenti marce di palestinesi e attivisti stranieri verso la zona cuscinetto. «Non dobbiamo arrenderci, non possiamo rinunciare a terre fertili che rappresentano il 30% delle aree coltivabili di Gaza, sono la fonte di sopravvivenza per molte migliaia di persone», spiega Saber che abbiamo incontrato nei giorni scorsi. «Continueremo a fare manifestazioni in quell’area – assicura Saber – perché è la nostra terra, perché con noi ci sono i contadini e gli abitanti del posto, perché se adesso ci fermiamo, la prossima volta gli israeliani cosa faranno, allargheranno ulteriormente la zona proibita?»


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