L’assassinio di Marcelo e il silenzio di Milano

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Marcelo Valentino Gomez Cortes, 28 anni, è stato ammazzato lunedì scorso dal vigile Alessandro Amigoni con un colpo di pistola alle spalle. Dopo lo sparo barcollava, poi è caduto. Lo hanno raggiunto facilmente. Gli hanno messo le manette mentre stava morendo. Poi lo hanno trascinato a forza fino all’automobile. Non era armato. Dopo un’ora si sono accorti di averlo ucciso.
I tre colleghi che erano con Amigoni sulla pattuglia sono stati ascoltati immediatamente dalla procura. Sono loro ad aver detto che il ragazzo cileno non era armato. Di più. Hanno anche precisato di «non aver percepito alcuna situazione di pericolo quando l’inseguimento è proseguito a piedi». Quindi, è stata un’esecuzione in piena regola, uno degli omicidi più odiosi e insensati degli ultimi anni a Milano. Un vigile con la passione delle armi, abituato a menare le mani come tutti gli «sbirri» – li chiamano così – che lavorano per il Nucleo operativo Duomo Centro, ha preso la mira da lontano, da circa venti metri, e ha premuto il grilletto. L’aveva già  fatto tante volte per allenarsi all’Accademia operativa di sicurezza della Beretta, ma un uomo che scappa deve essere un’altra cosa. Adesso – dopo aver raccolto la solidarietà  di tutti gli amici di piazza Beccaria, sindacati compresi che non accettano strumentalizzazioni – Alessandro Amigoni è stato spostato nella sezione procedure sanzionatorie. In ufficio, una punizione, molto degradante per un membro del corpo speciale che ha sempre risposto agli ordini dell’ex vicesindaco Riccardo De Corato.
A tre giorni dall’assassinio, a Palazzo Marino qualcosa si sta muovendo, e tra mille silenzi e altrettante ipocrisie, qualcuno comincia ad ipotizzare lo scioglimento, o la messa in discussione, di quei reparti speciali spesso violenti. Il sindaco Pisapia, particolarmente avaro di parole in queste giornate, ha detto che ci sarà  presto «una riflessione».
Intorno a lui, del resto, c’è una città  che mai come questa volta si è scoperta incapace di qualsivoglia reazione, anche solo sul piano simbolico, anche solo per dire che non si può morire così. Il minimo che si possa dire. Lo si è detto per Davide Cesare, detto Dax, ucciso dai fascisti, e per Abba, ammazzato a sprangate da due razzisti. Milano, insomma, è la città  che tra una settimana, come da 26 anni a questa parte, ricorderà  Luca Rossi, un ragazzo ucciso da un colpo di pistola sparato da un poliziotto in borghese: ma per sbaglio, con un colpo criminale di rimbalzo. Di Marcelo Valentino Gomez Cortes non conosciamo nemmeno la faccia. Non esiste.
Nessun politico ha la forza di dire, per esempio, che il comandante di piazza Beccaria, Tullio Mastrangelo, se ne deve andare. Non per cattiveria, ma perché lui è stato il primo a raccontare la ricostruzione menzognera fatta da Amigoni, quando al suo fianco c’erano tre colleghi che sostenevano il contrario: non c’era arma, non c’era pericolo. Ma i politici in fondo non sono alieni. C’è forse un presidio, un mezzo corteo, un dj set, per suggerire ai vigili, con i dovuti modi, che non si può sparare alla schiena delle persone? Non scherziamo. La politica è cosa delicata, bisogna tenere conto dei rapporti di forza, degli equilibrismi interni alla giunta, e non lasciarsi condizionare da «esternazioni frutto di eccessiva emotività  e di natura ideologica» – come dice il vice presidente e poliziotto della Commissione sicurezza Gabriele Ghezzi, Pd. Può essere.
La Commissione, proprio ieri, si è riunita a Palazzo Marino. La morte del ragazzo cileno è rimasta sullo sfondo, anche se con grande fatica forse si sta andando nella direzione giusta. «Esprimiamo la nostra solidarietà  ai vigili – ha detto Carmelo Zapparrata del Silp Cgil – ma anche alla famiglia della persona che è morta. Sono disgrazie che accadono, ma adesso ognuno torni a svolgere i suoi compiti: la polizia ne ha alcuni, i vigili altri. Invece negli ultimi 20 anni c’è stata una progressiva sovrapposizione, un sovraffollamento di compiti fra noi e la polizia locale. Si torni ai ghisa di 30 anni fa. I vigili devono fare molte cose che i poliziotti non devono fare, come i controlli sul lavoro nero o sugli abusi edilizi». In altre parole, bisognerebbe sciogliere immediatamente i nuclei speciali. Eppure, nonostante l’uccisione di un ragazzo, in questi giorni a Milano il dibattito sarà  «complesso», e in difesa dei vigili rambo si leveranno voci piuttosto imbarazzanti, o silenzi altrettanto eloquenti.
L’esternazione più condivisibile, in attesa del prossimo consiglio comunale dove si discuterà  della questione, per ora è stata fatta da un prete. Don Mazzi, che da una vita bazzica il parco Lambro e tasta il polso alle varie comunità  straniere che lo frequentano. Il prete ha chiesto se non altro un gesto di umanità  e di distensione al sindaco Pisapia: «Sia lui a deporre un fiore per un ragazzo di 28 anni».


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