Martini: “Gli omosessuali? Ascolto e comprensione”

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«Integro, onesto; leale, capace di non mentire mai; paziente; misericordioso, pronto a offrire speranza a chi soffre; ma anzitutto un uomo vero, capace di ascoltare tutti, anche non credenti, separati, divorziati e omosessuali». È il profilo-identikit che il cardinale Carlo Maria Martini traccia della figura del vescovo oggi, «un uomo di Chiesa, di cui si parla molto, ma che in pochi conoscono a fondo», scrive il porporato nel suo ultimo libro, Il Vescovo edito da Rosenberg & Sellier. Un testo breve (90 pagine appena, euro 8,50), ma intenso, nel quale il cardinale, partendo anche dalla sua esperienza pastorale alla diocesi di Milano, spiega «che cosa è un vescovo, come viene eletto, quali sono le sue competenze», ma in particolare quali dovrebbero essere i suoi impegni primari «nella società  contemporanea e postmoderna». 
Il porporato parla a cuore aperto, senza timore di toccare tematiche che potrebbero irritare le componenti tradizionaliste e reazionarie della Chiesa cattolica. Come, ad esempio, quando dice che il vescovo è chiamato in primis a essere «attento ai poveri, ai carcerati, ai malati, agli stranieri», ma anche a chi è costretto a vivere fuori dalla Chiesa «come i separati, i divorziati e gli omosessuali». «Pur facendo salvo il principio che il matrimonio è unico e indissolubile, molti separati e divorziati – scrive Martini – hanno un nuovo compagno ed una nuova famiglia con figli, vanno ascoltati, meritano attenzione, perché è come trovarsi davanti ai naufraghi per i quali occorre fare tutto il possibile per non farli annegare». 
Stesso approccio, il vescovo di oggi deve avere – a parere del cardinale – per le persone omosessuali, per le quali, fermo restando che la Scrittura condanna tali comportamenti, occorre ascolto e comprensione, orientandosi verso una amicizia spirituale: «Lo Spirito Santo porterà  consiglio, caso per caso, per ciò che è meglio per la persona che si ha davanti». Altro tema delicato, l’età  pensionabile del vescovo, che secondo Martini «dovrebbe essere innalzata rispetto agli attuali 75 anni». Un limite che anche Giovanni Paolo II avrebbe voluto ritoccare: «Fu papa Wojtyla a confidarmelo, ma poi – rivela il cardinale – non lo fece per un senso di rispetto verso una norma voluta dal suo predecessore Paolo VI».


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