Siria, attacco di terra alla città  ribelle il fratello di Assad all’assalto di Homs

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BEIRUT – L’attacco delle truppe di terra a Bab Amro, il bastione della rivolta siriana, è cominciato. Almeno questo dicono le indiscrezioni raccolte nella capitale libanese dalla televisione Al Jazeera e questo ha fatto capire a Damasco una fonte anonima degli apparati di sicurezza. «La zona – ha detto questa fonte – è sotto controllo. I nostri soldati stanno perquisendo palazzo per palazzo, casa per casa, alla ricerca di terroristi nascosti nelle cantine. Il quartiere sarà  ripulito entro poche ore». Parole che inevitabilmente hanno fatto rivivere l’incubo di una nuova Hama, la città  teatro della rivolta dei Fratelli musulmani, che Hafes el Assad, padre dell’attuale presidente, Bashar el Assad represse nel sangue. Allora, era il 1982, si parlò di almeno 10 mila morti.
Una generazione più tardi, i protagonisti appartengono alla stessa dinastia. A guidare la famigerata quarta divisione corazzata che, come ad Hama nel 1982, ha schierato ieri i suoi carri armati a Homs, è Maher el Assad, un militare avvolto da una sinistra fama di spietatezza, fratello del presidente Bashar el Assad. E forse è ricordando questo precedente che Ahmed, un attivista contattato dall’Agenzia Reuter attraverso Skype, ha lanciato un appello a pregare per gli uomini del Libero Esercito siriano, sotto le cui bandiere si sono trovati soldati disertori e gruppi di miliziani armati, che starebbero resistendo all’urto coraggiosamente.
L’impressione è, dunque, che, dopo quasi quattro settimane di continui bombardamenti, di penuria di ogni genere di prima necessità  e di privazione dei servizi essenziali, acqua e luce, innanzitutto, con l’unico canale di approvvigionamento lungo un canale sotterraneo fatto saltare dalle forze di sicurezza di Damasco, Bab Amro, quartiere ribelle di Homs, stia per cadere. I tentativi di stabilire un corridoio umanitario per permettere alla Croce Rossa Internazionale, ma anche alla Mezzaluna Rossa, l’organizzazione parallela che opera nel mondo arabo, di portare soccorso alla popolazione intrappolata sono falliti.
Chi è fuggito da Bab Amro lo ha potuto fare soltanto a proprio rischio e pericolo. Tra questi, il fotografo inglese Paul Conroy ferito il 22 di febbraio, nello stesso bombardamento in cui sono stati uccisi l’inviata del Sunday Times, Marie Colvin e il fotografo francese, Remi Ochlik. La giornalista francese Edith Bouvier, anche lei ferita e sofferente di una frattura multipla a un femore, è rimasta intrappolata a Bab Amro assieme al fotografo freelance di base a Parigi, Daniel Williams, mentre il reporter del Mundo, Javier Espinosa, è riuscito a fuggire.
La situazione umanitaria che si è creata ad Homs, e in alte città  della Siria, in pratica il dramma che incombe da settimane su decine di migliaia di persone, ha aperto un nuovo fronte all’interno della diplomazia internazionale. Francia e Stati Uniti hanno deciso di presentare una bozza di risoluzione per impegnare le Nazioni Unite a fare dei passi concreti per risolvere il problema umanitario chiaramente indicando, però, nei governanti siriani i responsabili di questa situazione. Ma sia la Cina che la Russia potrebbero nuovamente far valere, come è successo lo scorso febbraio, il loro potere di veto.


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L’intervento esterno in Siria sembra sempre più vicino. Dopo Obama, anche il primo ministro inglese, David Cameron, ha minacciato l’uso della forza contro Damasco. Martedì scorso, il presidente degli Stati uniti aveva minacciato di intervenire contro Bashar al-Assad in caso di uso di armi chimiche. «Il primo ministro (inglese, ndr) e Obama hanno discusso come sostenere l’opposizione siriana per mettere fine alle violenze» – si legge in una nota di Downing street.

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