Processo alla riforma sanitaria di Obama La Corte suprema dà il via alle udienze
Prima fra tutte, l’obbligo per i cittadini di assicurarsi (con l’aiuto dello Stato se non sono in grado di acquistare la polizza di una mutua).
Da stamattina e per tre giorni la suprema magistratura americana ascolterà gli argomenti dei ricorrenti e quelli del governo che difende la legittimità di un provvedimento che estende l’assistenza a 30 milioni di americani fin qui privi di accesso alle cure mediche, impone alle assicurazioni di non discriminare tra i potenziali clienti respingendo quelli con patologie croniche o malattie che comunque richiedono cure costose e compensa questa norma, onerosa per le aziende del settore, con l’altra disposizione che introduce l’obbligo di polizza anche per chi — giovane e sano — fin qui ne ha fatto a meno.
Negli Stati Uniti, dove la salute non è un diritto riconosciuto dalla Costituzione, l’assistenza sanitaria è affidata a polizze che hanno natura di contratti privati. È questo il punto centrale dell’offensiva de conservatori: il Congresso di Washington, dicono, non poteva intervenire perché le regole sul commercio sono fissate dei singoli Stati, non sono materia federale. Ma, oltre che sulla costituzionalità di questo nodo, la Corte Suprema dovrà esprimersi anche su altre questioni come l’estensione del programma Medicaid (assistenza pubblica per i poveri) a 15 milioni di cittadini oggi privi di copertura: un provvedimento di grande civiltà , ma anche molto costoso.
Le decisioni dei giudici costituzionali non arriveranno a breve: ci sarà un’altra sessione della Corte dedicata a questi temi nei prossimi mesi. In ogni caso la sentenza — cruciale per la campagna elettorale di Obama ma anche per tutti gli americani, visto che la riforma cambia profondamente il modo di erogare l’assistenza medica a buona parte dei cittadini — arriverà comunque prima del voto presidenziale di novembre.
Decisioni assai difficili quelle che dovranno essere prese dai nove giudici supremi, visto che quella della sanità è diventata la più accesa delle battaglie politiche combattute dai repubblicani contro l’Amministrazione in un clima che è, ormai, di estrema polarizzazione. Gli Stati che hanno fatto ricorso contro la riforma sono, ovviamente, quelli governati dai conservatori. E, da Romney a Santorum, tutti i candidati repubblicani alla Casa Bianca hanno promesso che, se saranno eletti, abrogheranno la riforma, se non ci avrà pensato prima la Corte Suprema. Una riforma che Obama, ovviamente, difende con convinzione. Ma il presidente non si espone mai troppo, anche perché il provvedimento — difficile da giudicare nel merito, visto che il nuovo sistema andrà a regime solo dopo il 2014 — non è popolarissimo: figlia di un iter parlamentare assai tormentato, zeppa di compromessi spesso poco comprensibili, la riforma si è trasformata nella rampa di lancio dei Tea Party, il movimento politico della destra radicale che ha costretto sulla difensiva i progressisti, ha assicurato ai repubblicani la vittoria nelle elezioni di «mid term», ma ora lega le mani a chi, a destra, vorrebbe seguire una linea più dialogante.
Per Romney, in particolare, la battaglia della sanità rischia di essere un «boomerang», e non solo perché lui, da governatore del Massachusetts, aveva varato una riforma molto simile. Gli analisti sostengono infatti che la riforma, anche se applicata ancora solo in minima parte, sta già producendo alcuni miglioramenti nel sistema sanitario Usa (risparmi e più efficienza), soprattutto perché assicurazioni e ospedali cominciano ad adeguarsi a una nuova impostazione che prevede il pagamento per i casi clinici risolti e non per le singole prestazioni erogate.
Related Articles
La potente arma del martirio
EGITTO-TUNISI
AI tunisini speravano nell’effetto Egitto sulla Tunisia per liberarsi del governo guidato dal partito islamista Ennahdha. Le forze democratiche non hanno mai considerato l’intervento militare un golpe, bensì la continuazione della rivoluzione. Fino a quando il quadro si è fatto più drammatico, con centinaia di morti provocati dall’esercito e dalla polizia intervenuta contro gli islamisti.
Il lungo day after dell’America
Il voto tradito, il Tea party, il potere dei ricchi. Due anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle Art Spiegelman racconta il suo paese. Senza più sogni
Art Spiegelman, il re del romanzo a fumetti autore di “Maus”, descrive la sua New York a dieci anni dall’attentato di Al Qaeda. È il racconto di un sogno andato in frantumi: “Manhattan è ormai una Disneyland per pochi, non si può più fumare, avanza il Tea Party Non mi resta che finanziare WikiLeaks”. “Le grandi società controllano le elezioni, non serve a niente votare così”
La moda Usa in passerella per Obama Campagna in tandem Wintour-Messina