Bomba sul bus all’aeroporto E Netanyahu accusa l’Iran

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WASHINGTON — Un attentato «fuori teatro» a Burgas (Bulgaria) ma che rischia di avere duri contraccolpi in tutto il Medio Oriente. Una di quelle stragi che sembrano volute per aumentare la tensione. Grave il bilancio: 7 morti. Cinque turisti israeliani e due cittadini bulgari. Una trentina i feriti. Gerusalemme, senza aspettare le indagini, ha accusato l’Iran. «Tutti gli indizi portano a Teheran — ha dichiarato il premier Benjamin Netanyahu —. Reagiremo con forza». 
Mancano pochi minuti alle 17 quando centinaia di turisti arrivati da Israele nell’aeroporto di Burgas si avviano verso i bus in attesa. È il momento dell’attacco. Su uno dei mezzi esplode un ordigno. La deflagrazione è devastante. Le schegge dilaniano i giovani, l’onda d’urto spezza le lamiere, le fiamme si estendono ad altri pullman. Molte delle vittime hanno ustioni orrende. Il piazzale davanti all’aeroporto assume l’aspetto di una delle tante località  mediorientali insanguinate dal terrorismo. Sulla dinamica dell’attentato si bilanciano, per tutta la giornata, due versioni. La prima è quella dell’azione suicida. Una ragazza — citata dalla tv israeliana — parla di gesto kamikaze, forse una donna che è riuscita a salire a bordo mescolandosi alla folla di viaggiatori. Fonti locali invece sostengono che la bomba era nascosta all’interno del vano bagagli. I terroristi sarebbero riusciti a piazzarla prima dell’arrivo della comitiva. E a tarda sera sembra questa la teoria prevalente. 
Le drammatiche notizie si intrecciano con i lampi di Damasco e raggiungono Israele dove scatta il codice di emergenza. All’aeroporto di Tel Aviv è ritardata la partenza di alcuni jet, si rafforza la vigilanza mentre il governo dispone l’invio di un robusto team a Burgas. Ne fanno parte medici per assistere i feriti e funzionari della polizia che devono raccogliere i primi elementi delle indagini. Gli israeliani pensano di sapere «dove guardare». E non mancano le polemiche. Trapelano voci su una mancata sorveglianza da parte dei bulgari e su segnalazioni — da Israele e Russia — su possibili attentati. Allarmi che ne seguivano altri emersi a gennaio. Sofia, però, nega: nessuna indicazione specifica. Un esperto non esclude che i mandanti possano aver reclutato un membro della comunità  musulmana locale oppure abbiano fatto arrivare una «squadra» da fuori. Magari attraverso la Turchia, transito gradito a molte formazioni armate.
E si ritorna così ai soliti sospetti. Che per il premier Netanyahu ricadono sull’Iran, magari in collaborazione con l’Hezbollah libanese. Indiscrezioni parlano di indizi sulla Divisione Qods guidata dall’iraniano Kasem Soleimani. Una «coppia» che avrebbe agito in un giorno doppiamente simbolico. Diciotto anni fa un attentato distruggeva la sede dell’associazione ebraica Amia a Buenos Aires provocando 85 morti. E ieri il leader hezbollah, Hassan Nasrallah, ha commemorato con un discorso la «vittoria divina» nella guerra del 2006. Più sfumato il ministro della Difesa Ehud Barak che, oltre agli iraniani, ha inserito tra i possibili colpevoli fazioni qaediste. Chiunque sia stato, ha detto, «lo troveremo e lo puniremo». Solidarietà  dagli Usa, con il presidente Obama che parla di atto barbaro. L’Hezbollah, invece, ha reagito respingendo tutte le accuse: «Non ci vendichiamo uccidendo dei turisti». 
In una giornata tesa per l’intera regione le valutazioni di intelligence si sovrappongono a quelle diplomatiche. E c’è chi teme che l’attentato possa diventare l’innesco (o il pretesto) per un conflitto.


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