HELGA NOWOTNY

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Che parlare di scienza oggi sia indispensabile per parlare di noi stessi e per comprendere la nostra società , Helga Nowotny lo dimostra bene nel suo nuovo libro Geni a nudo. Ripensare l’uomo nel XXI secolo (Codice, pagg. 167, euro 15). Helga Nowotny, sociologa e studiosa della scienza, è divenuta Presidente dello European Research Council. L’Erc è una delle istituzioni più importanti della ricerca europea, di sicuro quella più ardita e innovativa: finanzia progetti di ricerca di frontiera presentati da singoli, guardando solo alla qualità  e all’originalità . Nel 2013 assegnerà  1,7 miliardi di euro. Coautore del libro è Giuseppe Testa, uno dei biologi più brillanti della sua generazione, capace di profonde riflessioni critiche sulle trasformazioni e le implicazioni del proprio settore.
In questi giorni ricorre l’anniversario dell’annuncio sulla mappatura del genoma umano da parte di Bill Clinton e Tony Blair. Citando uno studioso, osservate che “il genoma è diventato l’equivalente laico dell’anima”…
«Il libro nasce dal nostro stupore per come il discorso pubblico sia rimasto ancorato a un’idea di determinismo genetico, all’idea che il genoma umano avrebbe dato tutte le risposte e le soluzioni alle patologie. Ma gli scienziati hanno compreso che non era così semplice e oggi l’epigenetica ci mostra come i geni e l’ambiente continuino a interagire in modi sorprendenti. L’altro punto di partenza del libro è il dinamismo crescente della ricerca contemporanea. Non possiamo perdere di vista l’immenso potenziale che hanno le scienze della vita, ma non dobbiamo neppure suscitare speranze che nel breve periodo potrebbero essere deluse».
In che modo questi cambiamenti riguardano tutti noi?
«Nel modo in cui la società  interviene continuamente a spostare il confine tra naturale e artificiale. Prenda il caso del doping nello sport. Aumentare i globuli rossi allenandosi in alta quota è considerato naturale e quindi legittimo, ma ottenere lo stesso effetto con delle trasfusioni è proibito. Ma che cosa avverrà  quando potremo intervenire sul genoma di un atleta? Sempre più dovremo fare i conti con un mondo che è “fatto” da noi. I risultati delle scienze della vita e di altri settori trasformano continuamente questo mondo: siamo noi a intervenire, e ciò può avere effetti positivi o negativi, ma siamo noi, non è una natura data e immutabile e non possiamo limitarci a dire “non toccate niente, ne verranno fuori solo conseguenze negative”».
È in questo senso, secondo voi, che la natura cessa di essere un’autorità  morale come era invece in passato?
«La cellula stessa è divenuta un laboratorio, e oggi capire la vita significa sempre di più modificarla. Noi tendiamo a idealizzare
la natura, a vederne solo i lati più positivi o rassicuranti. Ma oggi l’autorità  morale non può che essere in noi e nella società . Ovviamente questo è molto difficile da ottenere in una società  pluralista come la nostra, in cui convivono diverse visioni e valori».
C’è una domanda centrale nel libro, che sta sullo sfondo di dei grandi dibattiti di questi anni, ma che spesso cerchiamo di evitare: che cosa significa essere umani nel XXI secolo?
«Oggi abbiamo una nuova responsabilità  perché dobbiamo ridefinire noi stessi, come esseri umani, nei termini di ciò che accogliamo e integriamo tra le nuove opportunità  offerte dalla scienza e dalla tecnologia. Fino a che punto vogliamo spingerci, ad esempio, nel desiderio di espandere le nostre capacità , nel cosiddetto human enhancement, e dove ci porterà  questo desiderio?».
È anche su questi temi che si sviluppa la vostra critica alla bioetica, o quantomeno a un certo uso che è stato fatto della bioetica.
«Siamo molto critici sul fatto che la bioetica possa servire come comoda via di fuga per non affrontare i problemi, delegandoli a un comitato o riducendoli al barrare una casella su un modulo. Spesso le procedure attuali non tengono conto della peculiarità  dei singoli casi. Siamo tutti più o meno d’accordo sul fatto che non sia accettabile scegliere il sesso di un nascituro, ma su altre questioni avremmo bisogno di strumenti più flessibili e sensibili rispetto ai tradizionali strumenti legislativi, che si limitano a permettere o proibire. Abbiamo bisogno di un approccio più pragmatico, più “umano” se si vuole, che ci permetta di imparare passo dopo passo come affrontare sfide sempre più incalzanti e in continua evoluzione».
Pensa che siamo pronti a raccogliere queste sfide? O la vostra è un’aspettativa un po’ utopica?
«Ma non c’è altra scelta. Oggi la società  deve interessarsi molto di più a quello che succede nella scienza. Il tempo in cui potevamo restare passivi o limitarci a godere dei risultati della scienza come si fa con l’arte è finito. Dobbiamo spingere i nostri giovani a non essere “consumatori passivi” della scienza, a rendersi conto di come la ricerca stia cambiando rapidamente e di come trasformi profondamente le nostre vite».


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