Il destino del premier legato a doppio filo alla partita europea

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ROMA — Non è il bradisismo politico nazionale che Monti teme, semmai è l’immobilismo europeo a preoccuparlo, perché a Roma — secondo il premier — «la maggioranza non sarà  solida ma è destinata a reggere», mentre è da Bruxelles e soprattutto da Francoforte che si attendono segnali sulle sorti dell’euro e dei Paesi che l’hanno adottato. È il board della Bce di domani — come dice il presidente del Senato, Schifani — che «sarà  strategico per la moneta unica e per l’Unione», è lì che «Draghi sta giocando la partita decisiva con la Bundesbank», perciò «va sostenuto».
Per la prima volta la politica europea impatta in modo determinante sulla politica domestica, come una sorta di effetto domino influisce sul futuro di Monti e sulle scelte elettorali dei partiti. E la novità  si porta appresso un paradosso. Perché è vero — come dimostrano i costanti contatti con Obama — che il premier è supportato dalle cancellerie occidentali, mentre in Italia è sopportato dalla «strana maggioranza». Ma è altrettanto vero che se non portasse a casa un risultato dall’Europa continuerebbe a non essere «profeta in patria». E l’«agenda Monti» non sarebbe più una formula con cui riproporre il Professore a palazzo Chigi, ma resterebbe una citazione per cruciverba.
Insomma, l’accapigliarsi dei partiti attorno alla nuova legge elettorale è al momento un falso problema. Se il presidente del Consiglio ne ha parlato ieri è stato per «coprire» il capo dello Stato. D’altronde, al pari di Napolitano, Monti sa che il confronto parlamentare sulla modifica del Porcellum — una volta accantonata l’ipotesi del voto anticipato — è destinato a entrare nel vivo solo in autunno. È interesse comune di Pdl e Pd, perché — l’ha detto Berlusconi ai dirigenti del suo partito — «a ottobre saranno più chiari i dati tendenziali del consenso, e sondaggi alla mano si potrà  ragionare su eventuali alleanze e coalizioni». Non avrebbe quindi senso per le forze politiche delineare gli assetti di sistema oggi, senza avere chiara la strategia di domani.
Anche perché agosto sarà  un tornante per l’euro e per l’Unione. «Ad agosto l’Europa non andrà  in vacanza», dice infatti il ministro Moavero, che cura per Monti i dossier continentali più delicati. Certo, è in questa fase che va messa a punto l’agenda d’autunno dell’Unione. Ma le questioni discusse al Consiglio di fine giugno non sono state del tutto chiuse, lo scudo anti-spread — contestato dai Paesi a tripla A — è uno strumento da strutturare che avrebbe comunque capacità  limitate, visto che il fondo Esm non può essere ancora attivato. E c’è un motivo se il premier continua a battersi per averlo, siccome senza una stabilizzazione dei tassi d’interesse salta la «par condicio» indispensabile nella competizione tra aziende di Stati diversi dell’Europa.
A fronte di questa situazione, colpisce il ragionamento del capo del governo, che ieri ha detto di vedere «la luce in fondo al tunnel» della crisi. Lo stesso fronte trasversale filo-montiano che alberga nella «strana maggioranza» è rimasto sorpreso. Nel Palazzo si sono confrontate due scuole di pensiero: la prima è che il Professore abbia in qualche modo voluto anticipare l’esito del board della Bce; la seconda è che abbia voluto trasmettere un segnale di ottimismo alla vigilia dell’asta dei Bonos spagnoli. Il premier in realtà  sembra essersi sbilanciato perché convinto che nelle cancellerie «c’è una presa di coscienza, la consapevolezza che si deve fare di più in Europa per l’Europa».
Ma, a parte il fatto che già  a marzo, durante la sua visita a Pechino, aveva annunciato «l’uscita dal tunnel», resta da capire come si tradurrà  questa «presa di coscienza» e quale influenza avrà  sui mercati. Un nodo che rimanda alla novità  italiana dell’incrocio tra la politica internazionale e la politica interna, tra quanti puntano a «Monti dopo Monti» e chi — come Bersani — insiste sulla necessità  di una rupture dopo il voto rispetto a una guida tecnica del futuro governo. Secondo l’ex ministro Martino, «comunque le prossime elezioni non saranno più un confronto tra destra e sinistra, ma tra i sostenitori dell’Europa e i suoi avversari. Ed è chiaro che dinnanzi alle teorie grilline sull’uscita dall’euro, anche a me toccherà  difendere un’Unione che pure così non va».
Lo stesso Berlusconi, abbandonata la linea del «ritorno alla lira», sarebbe pronto ad appoggiare ancora il Professore in nome dei «superiori interessi nazionali». Intanto si prepara a sostenere la proposta del Pdl per l’abbattimento del debito, attraverso l’istituzione di un fondo dove inserire aziende, immobili e concessioni dello Stato, con l’emissione di titoli decennali per 400 miliardi che non graverebbero sulla spesa pubblica e garantirebbero risorse per abbassare le tasse. Questo «contributo» è la prova che il premier non può temere il bradisismo politico italiano ma l’immobilismo politico europeo. Perché Monti succeda a Monti è da Bruxelles (via Francoforte) che dovrà  portare a casa un risultato. Altrimenti non bisognerà  attendere le urne per sapere quanto europeismo circola ancora nelle vene del Paese.


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