«Stiamo continuando a produrre, come se nulla fosse accaduto»

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TARANTO. L’Ilva non si ferma e non rallenta. Lo dicono i lavoratori da dentro gli impianti, lo confermano i fumi che continuano a disperdersi nell’aria. «Stiamo producendo come se non fosse accaduto nulla» affermano in coro diversi operai. «Gli impianti lavorano coerentemente con gli ordinativi e non ai minimi. Nessuna nostra attività  è influenzata dai risvolti giudiziari. Ce ne accorgiamo guardando i monitor nell’area a caldo: il sequestro concretamente non ha ripercussioni e tutto procede come sempre». La loro è una voce difficile da mettere a tacere, soprattutto da quando hanno compreso come il loro futuro occupazionale sia legato a doppio nodo con quello dell’intera città  ionica. La notte tra venerdì e sabato, poi, i bagliori sopra l’Ilva palesavano una attività  tutt’altro che limitata. A essersene accorti non sono stati solo i cittadini di una città  abituata (ma non rassegnata) a convivere e a morire con l’inquinamento, ma anche i custodi nominati dalla gip Patrizia Todisco nell’ultima ordinanza. Accompagnati dai Carabinieri del Noe di Lecce, infatti, si sono presentati in piena notte alle porte dello stabilimento per una ispezione. È iniziata intorno a mezzanotte ed è proseguita per quasi cinque ore. Una attività  svolta nelle aree acciaieria 1 e 2 e gestione materiali ferrosi finalizzata a raccogliere nuove importanti informazioni. L’Ilva, dal canto suo, non teme alcuna iniziativa restrittiva immediata della produzione. Solo qualora essa venga limitata dai giudici verrà  rivisto in modo determinante il programma degli impianti. Il concetto di limite, però, è sempre molto soggettivo: quanto dovrebbe produrre infatti l’azienda per non destare il sospetto di una corsa agli utili anche mentre si trova la centro di un ciclone giudiziario che potrebbe travolgerla? La gip, dal canto suo, non ha dubbi: gli impianti vanno fermati e qualsiasi loro utilizzo deve essere finalizzato alla recezione delle prescrizioni e dunque alla loro messa a norma. Ma fino a quando tutti i gradi di giudizio non confermeranno la nuova ordinanza della giudice Todisco (si attende il responso del Riesame) c’è da essere certi che non una colata verrà  risparmiata. «Il 2 agosto, in occasione degli scioperi promossi dall’azienda, chi rimase in fabbrica produsse più dei giorni precedenti. Eppure a noi fecero credere che i giudici avevano fermato tutto», ricordano sempre i lavoratori. La loro è l’ulteriore conferma di quale sia la strategia dell’Ilva. Un atteggiamento di sfida, d’altronde, non è mai stato smentito sin dai primi passi dell’indagine condotta dalla procura della Repubblica: nessuna controperizia rispetto a quelle presentate dall’accusa (sia per quella chimica che per quella epidemiologica); nessun tentativo di dialogo e disponibilità  a fare luce. Anche Bruno Ferrante, all’arrivo alla guida dell’Ilva, ha dovuto riconoscere la scarsa collaborazione di chi lo precedeva con i giudici. A un mese circa dal suo insediamento appare chiaro quanto la sue possibilità  di manovra decisionale sia limitata e come ogni minimo passo lo debba concertare con la proprietà . Accade spesso così quando chi ha la rappresentanza legale di una azienda ma non è anche il proprietario di riferimento. Davanti alle telecamere Ferrante continua a dichiarare massima disponibilità  e chiede indicazioni certe al governo per poi adeguarsi; a porte chiuse, invece, quando si tratta di discutere le disposizioni riportate anche nell’ordinanza della gip, si comporta diversamente: si oppone all’installazione delle centraline all’interno del perimetro dell’Ilva e alla copertura dei parchi minerali. Due degli interventi che, fino a quando non saranno imposti dal governo e accettati dall’azienda, paleseranno la scarsa volontà  dell’Ilva di risolvere veramente almeno una parte dei problemi.


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