La drammatica conta dei feriti e i pestaggi della polizia catalana

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BARCELLONA. La conta dei feriti il giorno dopo le manifestazioni è diventata una drammatica routine. A Barcellona, il caso più grave è quello di una donna 42enne che ha perso l’occhio sinistro per una pallottola di gomma. Negli ultimi anni, sette persone in Spagna hanno perso un occhio colpite da queste armi, e una è morta, poi ci sono i feriti, come informa l’associazione Stop bales de goma, fondata da Nicola Tanno, una delle vittime. Il ministro degli interni catalano, Felip Puig, ha negato che nella zona dove si trovava la donna sia stato utilizzato questo tipo di pallottole. Sul caso del ragazzo di 13 anni gravemente ferito alla testa a Tarragona (4 punti), ha ammesso che non partecipava a nessuna azione violenta e che è stata aperta una inchiesta. Nel complesso però ha valutato «molto positivamente» il lavoro dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana. Ha anche assicurato che gli agenti antidisturbo intervengono esclusivamente nel caso in cui «si ponga a rischio l’integrità  degli agenti, dei cittadini o dei beni».
Una versione smentita da Rubén Permuy, giornalista scientifico galiziano che mercoledì notte è tornato a casa ferito (anche se non entra nel computo ufficiale dei 29 feriti catalani). «Dopo la morte delle persone care, è stato il momento più doloroso della mia vita», racconta commosso. Nella famiglia di Rubén c’è anche un poliziotto e lui non si può certo definire un antisistema: «Io credo nel ruolo sociale della polizia, e dico persino che non giustifico i danni ai beni di tutti», insiste Rubén. «Però non accetto questa azione totalmente indiscriminata. Non è etico». Rubén si trovava in un gruppo di sei persone, tre ragazze e tre ragazzi, e cercava di tornare a casa nella zona di via Laietana, dove a partire dalle 8 di mercoledì sera sono iniziati gli scontri. Siccome tutti gli accessi erano bloccati, si sono seduti davanti a un portone in attesa che la situazione si calmasse. «D’improvviso, saltano fuori dai furgoni decine di agenti che si mettono a correre come matti. Uno ci passa davanti, si ferma, e senza dire una parola ci colpisce, nonostante le nostre facce scoperte e impaurite, nonostante non avessimo nulla in mano, nonostante non stessimo facendo nulla». 
Proprio nella stessa zona, dietro il mercato di Santa Caterina, c’era anche il fotografo freelance César Gorriz, anche lui galiziano, che identificato con telecamera, casco, braccialetto e giacchetta fosforescente obbligatoria con la scritta «stampa», racconta che d’improvviso sono passati due furgoni della polizia a tutta velocità  in mezzo alla gente e si sono riscaldati gli animi. «Avevano bloccato tutte le vie di fuga, ma ci chiedevano di disperderci. Stavo attraversando, ero a 5 metri dai manifestanti e 20 dalla polizia, e d’improvviso mi colpisce al ginocchio una pallottola di gomma. O hanno grossolanamente sbagliato la mira, o volevano proprio colpire noi giornalisti. Non capisco come possano usare queste armi. Mi sembra sempre più chiaro che l’obiettivo è generare il panico», aggiunge César .
«Prima non succedeva, in un paese democratico, un cittadino non dovrebbe temere la polizia». In Catalogna, la polizia dovrebbe non rispetta la legge che la obbliga a portare un numero identificativo.


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