Anche il Portogallo vorrebbe rinegoziare come la Grecia

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PARIGI. La competitività  non si recupera con l’abbassamento del costo del lavoro, sostiene l’Independent Annual Growth Survey, di cui parliamo nell’intervista qui sopra, anche perché comporta una diminuzione della domanda e conseguetemente porta ad un aggravamento della recessione. Ma la Commissione europea non sembra pronta ad accettare nessuna discussione su questo fronte. Anzi, mercoledì scorso Bruxelles ha proposto un nuovo giro di vite: le riforme strutturali nei paesi membri saranno controllate da vicino dalle istituzioni comunitarie, i paesi saranno obbligati a firmare uno «strumento di convergenza e di competitività » per attuare la riforma del mercato del lavoro. Se non rispettano gli impegni potranno venire sospesi gli aiuti finanziari.
La firma del contratto sarà  obbligatoria per tutti i paesi che non rispettano i parametri di Maastricht, vale a dire il 3% massimo di deficit e il 60% di debito rispetto al pil. Per la Commissione, l’accresciuto controllo è la precondizione per far accettare dai paesi virtuosi, a partire dalla Germania, l’ipotesi di eurobond comuni e di un meccanismo per ammortizzare i debiti, in una prospettiva temporale di 5 anni. Secondo la Commissione di Bruxelles «l’attuazione, troppo lenta, se non inesistente, di riforme strutturali importanti sul lungo periodo ha aggravato i problemi di competitività  e intralciato, a volte in modo consistente, la capacità  di aggiustamento degli stati membri, la cui vulnerabilità  è di conseguenza accresciuta».
Lo scontro di tutti contro tutti e gli egoismi nazionali continuano ad avere la meglio nella zona euro. L’accordo appena raggiunto sulla Grecia, che dovrebbe ottenere la conferma del versamento di una nuova tranche di aiuti di 34,5 miliardi entro metà  dicembre (ed evitare così il fallimento), non sembra aver convinto gli esperti. Ma ha invece suggerito ad altri paesi sotto tutela, a cominciare dal Portogallo, che è arrivata l’ora di chiedere qualche concessione analoga per uscire dalla crisi.
In nome del «principio di eguaglianza di trattamento», adesso anche Lisbona chiede più tempo per il rimborso, come la Grecia. Lisbona vorrebbe beneficiare di un riporto nel tempo del rimborso di 20 miliardi, pari all’incirca all’1,2% del pil per anno. Per la popolazione, portoghese anche se è poco, sarebbe comunque un piccolo vantaggio, nel senso che ci sarebbero equivalenti tagli in meno al bilancio e alle restrizioni delle politiche sociali.
Anche l’Irlanda, altro paese sotto tutela, aspira allo stesso allentamento della stretta. Ma il commissario agli affari monetari, Olli Rehn, è molto freddo: teme reazioni di rigetto da parte dei contributori netti, Germania in testa, che non vogliono pagare per le cicale.


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